“Ruggine sul cuore” e “Le verità delle anime semplici”. A Romagnano questa sera Rocco Sestito, la terra di mezzo del teatro trentino
L'appuntamento è alle 20.45. Rocco nel lontano 1996 ha fondato la compagnia Emit Flesti ed ora torna con “Cassiel Project”

TRENTO. Lavora all’Inps: contributi, eccetera. Ma il contributo che più gli sta a cuore è quello che da un trentennio prova a dare, nel suo piccolo, al teatro. Parliamo di Rocco Sestito, nome e cognome che certo non rimandano al nord. Lui è calabro/trentino. Anzi, ormai, viceversa. In Trentino c’è arrivato negli anni 80 importando una doppia passione: la prosa e la musica. Regista e trombettista che nel curriculum vanta anche una giovanile ma indimenticabile registrazione con Nick Griffith, che fu ingegnere del suono dei Pink Floyd. A dirla tutta, c’è da dire che Rocco è uno e trino: regista, musicista e pure scrittore. Con un libro, “Il tarlo di Ruth” che non è passato inosservato e gli ha fatto crescere la voglia di bissare con un lavoro che è in cantiere ma di cui ancora è meglio non anticipare.
C’è da anticipare, invece, che Rocco Sestito non frena e non si frena quando c’è da azzardare. L’azzardo, ovviamente, è artistico. A Trento, nel lontano 1996, ha fondato la Compagnia Emit Flesti, (chi conosce Wim Wenders e i suoi angeli metropolitani si raccapezzerà nel riferimento cinematografico del nome). E con Emit Flesti, Rocco Sestito ha messo in scena una sequenza di lavori ambiziosi tanto nella scelta degli autori quanto nelle tematiche. Svago sì - così come deve essere il teatro per non diventare elucubrazione ad escludendum. Ma mai una deroga a quell’impegno sociale che ha sempre dato un indirizzo preciso alle sue regie. Da Kundera a Stoppard, da Bergman a Genet: non si può dire che Rocco Sestito abbia giocato facile nell’allestire spettacoli capaci di andare a premio in vari concorsi come “Jaques e il suo padrone”, o come “Rosencrantz e Guilderstern sono morti”, o come ancora “Le serve” e “Woyzec Ballad” che cercava un equilibrio tra Buchner e Wilde.
Insomma, qui non si sta certo parlando di Strehler ma nemmeno dei troppi che in Trentino “filodrammano” veri e propri drammi recitativi e contenutistici con la presunzione, quella sì, di sentirsi Strehler.
Con Rocco Sestito siamo nella dimenticata terra di mezzo del teatro trentino. Per capirsi, la terra in cui operano soggetti culturali poco avezzi al vendersi vendendo fumo ma tuttavia gelosi della propria capacità di ricerca, di innovazione. E del proprio coraggio. Il coraggio, cioè, di fare buon teatro. Un teatro contaminato da altre forme espressive: la musica, la danza, le arti visive. Ma soprattutto un teatro che abbia qualcosa da dire. E che riesce a vivere, (certo a fatica), nonostante l’assenza di mezzi, la lontananza dagli sponsor politicanti che non si sono mai seduti in una platea per più di un minuto, la cronica disattenzione degli enti che per statuto dovrebbero valorizzare, promuovere e finalmente circuitare le produzione locali quando sono di qualità.
Questioni antiche che a Rocco Sestito procurano malinconia così come la procurano – misto rabbia - ad altri esponenti validi del cosiddetto “altro teatro” trentino, quello che s’arrabatta spesso purtroppo invano per conquistare il diritto a qualche replica in più. Ma sono questioni che per fortuna non hanno mai paralizzato la vena di Sestito e la sua disponibilità alle collaborazioni più diverse. Quella, ad esempio, con ottimi musicisti che con lui hanno raccontato una storia d’Italia letta tutta dal basso in “Cercando Toto”. O quella con il coro Altreterre in un viaggio a fianco di prosa e canto accanto ai migranti in cerca dell’Utopia dei diritti, della sopravvivenza, della giustizia.
Ebbene, adesso Rocco Sestito ha mosso un altro passo. Un nuovo passo che non dimentica il suo passato. Ha fondato una nuova compagnia. Si chiama “Cassiel Project”. E questa sera, al teatro di Romagnano (alle 20.45) , la fa debuttare nella sua più recente fatica: un dittico, due titoli e probabilmente un’unica intensità. “Ruggine sul cuore” e “Le verità delle anime semplici”: ecco i titoli, un duo per uno, della serata. Il primo monologo, interpretato da quel Vito Catanzaro che è un attore-protesi del regista, è un testo scritto da un giovane autore trentino, Alberto Frapporti. Un titolo che potrebbe far pensare all’amore e che invece è la sintesi di un’ossessione. Una macchia su una divisa da soldato scatena tutto lo scatenabile. Anche lo scatenabile dell’antimilitarismo, dell’anti autoritarismo, che è una costante nelle convinzioni di Sestito. Nell’altro monologo, scritto dal regista, un’attrice francese, Carole Destribas, si fa in tre. Tre donne fuori dal comune e dai luoghi comuni. Con l’insano che diventa salute mentale. Quando si presenta uno spettacolo è bene non dirne troppo. Ma si può, tuttavia, esporsi. Si può consigliare, invitare a non perdersi la proposta sulla scorta delle buone sensazioni che con il suo teatro, (ma soprattutto con la sua umiltà), Sestito ha sempre regalato al pubblico.