Y generation festival, arte in strada per emozionare i cittadini
L'iniziativa è un festival tematico di danza e teatro che animerà la città fino a domenica 9 negli spazi gestiti dal Centro Santa Chiara

TRENTO. E se i purtroppo giovani topi d’appartamento virassero la loro acrobaticità, spesso incredibile, verso l’arte? Se si guadagnassero il pane scalando per il pubblico godimento piuttosto per le malandrinerie?
Un’utopia non impossibile passata nei pensieri del naso all’insù collettivo che giovedì sera s’è stupito – e divertito alquanto – seguendo le agili arrampicate sull'impervio di città degli olandesi “Murikamifaction”, chiamati ad animare il primo degli spettacoli itineranti di “Y generation festival”.
Muri, architetture, travi, pezzi di palazzi “conquistati” con un’agilità fuori norma da un gruppo di atleti-ballerini che si sono fatti Ciceroni della “città alta” per un pubblico progressivamente più numeroso e più curioso durante la “sfilata” con largo uso di sorpresa dal Centro Santa Chiara a piazza Battisti. E più o meno viceversa.
Se l’inedito festival del movimento giovane promosso dal Centro Santa Chiara doveva tradurre in comprensibilità emotiva l’ostica definizione di parkour, si è fatto subito centro. Il parkour è l’annullamento di ogni ostacolo metropolitano attraverso salti, volteggi, scalate, equilibrismi al limite della gravità e della velocità. Una disciplina che dalla Francia si è estesa al mondo portando in strada un’apparente improvvisazione nell'arte dello spostamento.
Gli olandesi - una delle dieci compagnie italiane e straniere chiamate dal festival che iniziato giovedì si concluderà domenica – sposano il ginnico con l’espressività. Insomma, danzano e raccontano muti una dimensione onirica che ognuno dovrebbe poter materializzare a proprio piacimento. Solo che lo fanno senza quasi mai stare con i piedi a terra. Solo che lo fanno proponendo una diversa visione delle architetture di città.
Ecco, le diverse visioni. “Y generation festival” appare un tentativo piuttosto coraggioso di praticare l’inconsueto sia nelle forme artistiche che nei destinatari. La danza dei giovani, e per i giovani, vorrebbe essere “comunicazione altra”. Il linguaggio resta quello del corpo – e si tratta di corpi allenati spesso all'impossibile. Ma il contesto dello spettacolo, della performance, è tutt'altro che le assi di un palcoscenico anche quando i protagonisti si esibiscono dentro un teatro.
La strada è strada davvero maestra in quell'urban dance che confonde suoni e movimenti, battiti degli amplificatori a rotella e battiti, iperaccelerati, del cuore. Ed è un contesto di contaminazione, di spontaneità che passa dall'hip hop alla break dance prendendo possesso di spazi fisici e mentali di una generazione restia alle convenzioni. “Y generation festival” è dunque un bel tentativo e insieme un inizio stimolante.
Gli spettacoli che s’alternano al Cuminetti, al Sociale e a Sanbapolis sono diversi per impianto, struttura, messaggio. Ma l’energia li accomuna. Così come la voglia di esprimere il salvifico meticciato che mescola diverse discipline. I giovani – perché no anche i giovanissimi – hanno più attitudine al marciapiede che alle poltrone di un teatro. Della povertà di mezzi – la break necessita di una radiolona che spara watt e basta – possono fare ricchezza. E la ricchezza dell'urban dance è né più né meno di un’aggregazione libera e non condizionabile che in prospettiva porta inevitabilmente alla crescita (quindi studio, prove eccetera). Che in prospettiva porta al palco con tutto quello che ne consegue in termini di impegno e lavoro.
Ma per agganciare i giovani – e non solo nella danza – bisogna almeno provare a partire dai giovani. “Y generation” fa questo tentativo affidandosi a protagonisti che mettono in scena un arcobaleno di sentimenti spesso volutamente confusi tra mondi esteriori e mondi interiori. Cosicché il “Caos” – che è anche il titolo del celeberrimo spettacolo di “Quelli di Grock” tornato al Sociale giovedì in un remix esplosivo – diventa una lucida chiave di lettura generazionale quando fa diventare reale il surreale.
“Y generation” – sponsorizzato con utile intuizione anche dalle “politiche giovanili” del Comune è a sua volta un’iniziativa “politica”. Certo, qui si parla – (e nel festival si parla anche in due o tre appuntamenti di confronto aperto che si spera non sia solo confronto tra addetti ai lavori) – di politica culturale. Una politica culturale che sia finalmente inclusiva anche delle esperienze espressive meno codificate e codificabili. Una politica culturale che non si picchi di “interpretare” i giovani per poi fregarli ma che apra ai giovani spazi creativi non occasionali.
In conclusione una sola conclusione, anzi un paio. Un festival irrituale quale è “Y generation” dovrebbe sconfinferare, intrigare, smuovere chi arriccia il naso quando si trova davanti forme culturali ed espressive non prevedibili, non rassicuranti. E stavolta va dato atto al Centro Santa Chiara – al direttore Nardelli e alla curatrice Giovanna Palmieri, colonna del teatro ragazzi – di aver allestito un azzardo decisamente positivo, innovativo, utile. Immaginarsi per “Y generation” un futuro percorso preparatorio nelle scuole, immaginarsi un festival che abbia il suo dna nella partecipazione dei giovani di ogni età, ma non da spettatori, è perfino più importante del calendario finale degli spettacoli, delle performances urbane con festa sonora annessa.
L’impressione è che il Santa Chiara voglia imboccare questa strada con una convinzione fin qui inusuale per un Centro culturale che sbiglietta tanto, appalta molto ma progetta a singhiozzo. Ed è una bella, confortante, impressione.