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Tre giorni di vita per Gardolo con "Tut Gardol en festa". Tutto il resto è noia

Da oggi torna la grande festa che anima il sobborgo a nord di Trento. Ma non basta. Il centro, multiculturale e con un bacino 15 mila abitanti, chiede più eventi, più vita notturna, idee e creatività e invece per 362 giorni l'anno tutto è fermo

Di Carmine Ragozzino - 09 settembre 2016 - 10:18

TRENTO. “I vari portici che aprono i loro spazi alla comunità fanno incontrare la gente creando l’occasione di conoscersi, accogliersi, ritrovarsi. Sono momenti che raramente ci è dato di vivere”. Il saluto di Ottavio Campestrini, presidente della circoscrizione di Gardolo, sul depliant di “Tut Gardol en festa” numero 36 - , (che sta per anni di vita e longevità della contraddizione) – fa perfino tenerezza. Eloquio semplice, nessun arzigogolo politichese e politicante, quello di Capestrini. Ma tema centrato, seppur del tutto involontariamente.

 

“Tut Gardol en festa”, la bolgia culinaria aggregativa che va in scena da stasera a domenica nella parte bella, storica e affascinante del sobborgo-città, si potrebbe anche ribattezzare così’: “Tre giorni di vita e 362 giorni di tristezza”. Capita, e capiterà anche quest’anno, che per tre giorni il cuore di Gardolo sia mèta d’assalto multigerazionale con forte predominanza giovanile. Capita, capiterà anche quest’anno, che il sobborgo si vesta dei sapori e degli odori più diversi nelle cucine da portico – con ogni portico gestito in allegria dal volontariato associativo “gardoloto”, Capita, capiterà anche quest’anno, che frotte di adolescenti smartphoneggianti brulichino da un luogo all’altro della festa messaggiando ed emoticonizzando ogni dialogo ravvicinato ed ogni sorso di birra. Capita, capiterà anche quest’anno, che le età si intreccino senza contaminarsi – giovani e adulti, adulti e anziani. Capita, capiterà anche quest’anno, che le musiche condiscano le cibarie, che sotto il palco della piazza ci sia folla, che nei portici mangerecci si stenti a trovare posto. Eccetera. Capita – capiterà anche quest’anno, che Gardolo metta in scena il suo inaccettabile contrasto.

 

Tre giorni da leone – appunto – di fronte ad un anno socialmente desertificato. Chi leggerà darà di matto. Ma come? A Gardolo esiste un elenco di associazioni da far invidia. Vero, verissimo, e tanto di cappello. Ma ricco associazionismo, benedetto associazionismo, non vuol dire automaticamente socialità se non c’è un progetto, una strategia, una connessione, una mission che chi amministra la città dedichi al suo sobborgo più popoloso e probabilmente più problematico. A Gardolo - 15 mila abitanti frazionati in frazioni urbanisticamente fratturate – il calar della sera è una morta gora di cui soffrono più di tutti i giovani. I bar – quasi tutti - chiudono all’ora dello spritz. Aree recentemente urbanizzate con l’edilizia popolare evidenziano tutto lo stridore di scelte che se ne infischiano di ogni bisogno aggregativo, (negozi, ristorazione, servizi).

 

I ragazzi emigrano sugli autobus e sui motorini verso un centro città appena più animato. E’ un bene per loro, per il loro diritto alla movida che poi crescendo diventerà un bel ricordo. E’ un male per il sobborgo che perde il casino salvifico delle anime in evoluzione. Ecco perché “Tut Gardol en festa” – festa che merita il successo esponenziale che premia un volontariato che finalmente esce dalle sedi e occupa angoli e avvolti – è insieme festa benvenuta e maledetta.  Porta a Gardolo un bel po’di Trento – specie la Trento giovane. Fa conoscere, scoprire. Ma fa anche incazzare perché Gardolo meriterebbe quella costanza di animazione che da una parte fa comunità e dall’altra fa da antidoto ai rischi del cosiddetto ordine pubblico e, di più, all’isolamento dei pensieri e alla condivisione delle energie che pure nel sobborgo esistono. E che sono tante. Tuttavia viva “Tut Gardol en festa” – semel in anno – se prima o poi saprà svegliare il Comune dal torpore di una disattenzione cronica.

 

Garantire servizi – caro sindaco, cari assessori – è il minimo sindacale. Promuovere vitalità è altra cosa: servono idee, elasticità, coraggio, creatività, sburocratizzazione, investimenti generazionali negli spazi e nei luoghi. Serve crederci. Serve credere che Gardolo può e deve essere un terreno di sperimentazione sociale perché a Gardolo il vecchio ed il nuovo convivono senza traumi ma non basta, perché Gardolo è multiculturale, (il più alto tasso d’immigrazione), perché Gardolo non è né la Bolghera né la collina.

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