Teatro, musica, arte e disabilità sul palcoscenico di Gardolo per "Cuori in gabbia" il Romeo e Giulietta di Shakespeare rivisitato
Venerdì al Gigi Cona va in scena l'importante collaborazione tra "utenti" di Estuario e attori diretti dalla regista Ilaria Andaloro accompagnati dal Coro dei Musici Cantori con la scenografia curata dagli studenti di quarta A “figurativo” del Liceo delle Arti, il Vittoria

TRENTO. Il teatro sociale si fa anche fuori dal Teatro Sociale. Il teatro sociale – per dirla con le parole semplici e chiare di una regista che prova a mutare la prosa in impegno “dentro” ma anche “oltre” l’arte – è uno strumento. Non è il fine. E’ uno strumento per dare cittadinanza ai sentimenti, anche quelli più scomodi. A tutti i sentimenti, compresi quelli spesso in precario equilibrio di chi soffre il disagio psichico. Il teatro, il teatro sociale, conquista dignità alla parola. Al testo prima che al gesto. E saranno le parole – ma non solo le parole - ad animare “Cuori in gabbia”, lo spettacolo che venerdì, (alle 20.30) va in scena al Gigi Cona di Gardolo. E che merita attenzione. Partecipazione.
Parole, frasi, appunti, spunti. E canzoni. Ma anche immagini, disegni, che affidano la voce al tratto e al colore. “Cuori in gabbia” è l’ultimo lavoro del gruppo “Orme nel vento”, importante opzione artistica all'interno di Estuario, l’associazione che dà aiuto e sostegno a chi ha diritto di fuggire alle solitudini che provocano patologie, isolamento, malattie. “Orme nel vento” – sotto la direzione appassionata di Ilaria Andaloro, ha fin qui allestito sette spettacoli in un percorso che fa del palcoscenico un luogo di intensità collettiva e di sensibilizzazione. Sul palco “utenti” di Estuario e attori. E va da se – lo conferma con amorevole ironia la regista – che è difficile distinguere tra chi è sano e chi no. Sani o non sani, attori rodati e non attori in rodaggio, quelli dei “Cuori in gabbia” hanno scelto questa volta di cimentarsi con il bardo più lungimirante, e dunque più attualizzabile, che il teatro abbia mai regalato.
“Cuori in gabbia” rivisita il Romeo e Giulietta di Shakespeare. Lo fa entrando e uscendo dal classico dei Montecchi e dei Capuleti. Lo fa proponendo alcune “parti” scritte dagli utenti/attori del gruppo teatrale di Estuario. Lo fa cercando un rapporto emozionale tra parola e musica, canzone. Sì, perché nel “cast” dei “Cuori in gabbia” c’è anche il Coro dei Musici Cantori diretto da Mattia Culmone. E c’è poi, un fondale per nulla statico se ci si concentra sull’energia che emana: è la scenografia degli studenti di quarta A “figurativo” del Liceo delle Arti, il Vittoria. Insomma la gabbia che al tempo imprigiona e libera la forza shakespeariana di un amore senza idillio è un progetto di indubbia importanza. Un progetto in cui un percorso fatto di rapporti, di reciproche manifestazioni di stima e di fiducia, di un’attitudine irrinunciabile alle collaborazioni che valorizzano esperienze e contesti diversi.
Ilaria Andaloro, la regista, sottolinea questo aspetto – un esempio di “arte sociale”, prima e più del merito del suo lavoro. Prima e più del suo curriculum. Storica dell’arte si è dedicata al palco, percorrendo una strada di formazione nazionale ed estera. Una strada lungo la quale devono averla fulminata incontri importanti, (Pippo Delbono, Sandro Conte, Jurij Altshitz), con protagonisti di un teatro che magari confonde ma che non perde mai il senso di un anelito al cambiamento. “Sono convinta – dice la regista – che in tempi come quelli odierni, di vuoto culturale e di assassinio dell’umanesimo l’arte possa e debba essere ancora uno strumento salvifico, un orizzonte, un approdo, una possibilità di costruzione dell’Utopia”.
E quando è questo, l’arte non si spaventa. L’arte sperimenta, pratica il coraggio, offre spazi a diverse forme espressive come, ad esempio, la poesia che chiuderà lo spettacolo: “L’essenza dell’amore”, un messaggio in versi firmato da Mirko Faes, poeta di quella vitalità che squarcia i cliché comunemente affiancati per approssimazione e imbarazzo al mondo del disagio. La poesia di Faes – “meriterebbe una pubblicazione” – dice ancora la Andaloro – è una costante degli spettacoli delle “Orme nel vento”. Si è ispirata al circo e al don Chisciotte. E ha sempre lasciato un segno. Così come un segno ha lasciato e lascerà anche questa volta il rapporto ormai solido della Andaloro con il liceo delle Arti, col Vittoria. Con una creatività fatta di entusiasmo e competenza di cui s’accorgono tutti meno che una Provincia che ignora da sempre le gravi carenze logistiche della scuola a Trento Nord.
La scenografia - la grande tela creata dagli studenti guidati dai docenti Mariotti, Tartarotti e De Miceli – non è una semplice “commissione”. Gli studenti hanno avuto modo di “capire” gli obiettivi di “Cuori in gabbia” attraverso una serie di incontri con la regista. Hanno colto e sviluppato una sfida, anzi più sfide: la fragilità e la delicatezza di Giulietta, le contraddizioni sentimentali di Romeo, la libertà creativa di Mercuzio, l’arroganza di Tebaldo. La sfida era quella di raccontare e insieme sintetizzare: per immagini. La sfida era trovare una chiave originale, spiazzante, non scontata e non didascalica per integrare la prosa e l’arte visiva. Ci sono riusciti scegliendo il surrealismo e l’impatto emotivo. “I ragazzi – spiega la professoressa Mariotti – hanno dato al cuore a ai suoi battiti una forma estetica e nuove suggestioni in sinergia con Orme nel vento. Una avventura artistica che ha permesso agli studenti/artisti di esplorare il tema dell’amore come linfa e mistero, il niente che può diventare tutto”.
E un tutto – l’opera collettiva degli studenti dell’artistico – che sarà testimoniato in un video in lavorazione. A scuola. “Cuori in gabbia” è dunque l’amore. Anzi le facce dell’amore corrisposto, ferito, ostacolato. L’amore a più direzioni: quelle degli utenti di Estuario che si sono “scritti le parti”, quelle dei rimandi al classico del bardo e delle virate nell’oggi, quelle dei canti che alternano passato e presente. Ma nel costruire uno spettacolo come “Cuori in gabbia” ci si può innamorare anche dei piccoli grandi miracoli che crescono nella stesura di un testo, nelle prove, nelle messe a punto. Per Ilaria Andaloro l’esempio di quanto un percorso teatrale può coinvolgere e far crescere viene da Nicola Marchi, studente dell’Iti Buonarroti, volontario entrato nel gruppo a 15 anni e diventato un trascinatore dentro e fuori il palco. Un palco che nell’universo del disagio psichico forse non è una terapia. Ma che certamente è un’occasione per passare dal’io al noi. E quindi, forse, “fregare” pure il rischio.