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"Quel che di male accade in Italia è responsabilità di chi lo causa. Ma chi lascia fare, il popolo, spesso non è meglio di chi a parole manderebbe ai lavori forzati"

Intervista a Gian Antonio Stella che venerdì sarà a Vezzano con il suo spettacolo "Vandali" tratto dal libro del 2011. "Da allora qualcosa è migliorato, per esempio a Pompei, ma ci sono tante storture che vanno a colpire la nostra più grande ricchezza: l'arte e la cultura"

Di Carmine Ragozzino - 01 marzo 2017 - 17:56

TRENTO. Quando, nel nemmeno tanto lontano 2007, raccontarono la politica “casta e impura” fu dura trattenere i conati. Per la verità Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, siamesi della cronaca che denuda tanto i re quanto i vassalli, non raccontarono nulla di immaginabile sotto il sole delle ruberie e dell’arroganza fatta a sistema, (spesso pure di governo). Eppure elencare nomi, fatti e misfatti in una sequenza tanto inattaccabile quanto disarmante fu un’opera certamente pia ma altrettanto certamente, purtroppo, inutile. Dal 2007 ad oggi da impura la politica politicante – il vacuo parlatorio ad uso di telecamera o microfono, si è fatta ancor più insopportabile. All’impurità affaristica di piccolo, medio o grande cabotaggio si è aggiunta un’ignoranza devastante in bocca ai troppi emuli del Marchese del Grillo di “io so io e voi non siete un cazzo”.

 

Insomma, se nel 2007 non si poteva stare allegri e s’invocava “il nuovo”, oggi ci si è accorti che non c’è più cittadinanza nemmeno per un barlume d’ottimismo. A meno che non si voglia passare per scemi o per illusi che in Italia si possa voltare davvero pagina aggrappandosi ad ogni furbesca fattispecie della demagogia. Ciononostante Gian Antonio Stella, (e Rizzo, di conserva), non si sono rifugiati in un “abbiamo già dato” che sarebbe più che comprensibile. I due giornalisti continuano a denunciare. Lo fanno senza salire sulla cattedra occupata da un’infinità di soloni, di paladini travagliati di una verità che è sempre e solo la loro verità. Lo fanno usando dati incontrovertibili, esempi di malefatte non sindacabili che testimoniano un’aberrante unità d’Italia. L’Italia disunita in tutto meno che nel farsi del male.

 

L’ambiente, la cultura, il patrimonio d’arte hanno segnato – in un 2011 tanto lontano quanto vicino – l’ennesimo terreno d’indagine della coppia di giornalisti/scrittori. Del 2011 è “Vandali, l’assalto alle bellezze d’Italia”. L’Italia, da nord a sud, del harakiri sociale, culturale e, di più, economico. L’Italia che in fatto di preziosità non ha eguali al mondo e allo stesso tempo non ha paragoni al mondo per quanto e per come se ne infischia della sua ricchezza. Ebbene, da qualche anno i “Vandali” di Stella e Rizzo sono saliti sui palchi nazionali, invadendo tanto teatri quanto scuole, università, sale pubbliche. “Vandali” è dunque “anche” uno spettacolo che alterna immagini che parlano da sole, parole che forse sarebbero anche superflue ma che invece servono, (eccome), musica di qualità, (musica dal vivo) con la quale ci si rilassa sì ma non al punto da dimenticare le sequenze di scempi al patrimonio. In “Vandali” in stage, (massì, un po’ di internazionalismo), Gian Antonio Stella fa il narratore. Non fa il tribuno. Ma con quella sua aria paciosa accentata di veneto punge più dei tribuni in travaglio. O meglio, sveglia. O, meglio ancora, prova a svegliare il senso critico, (ma pure autocritico), di chi chiudendo gli occhi su quel che di peggio a “bell’Italia” lascia che a spalancare gli occhi e le tasche siano i protagonisti delle speculazioni tanto pubbliche quanto e forse più private.

 

Con il suo “Vandali”, Gian Antonio Stella approda venerdì 3 marzo al teatro di Vezzano, in valle dei Laghi. Ospitandolo, la Fondazione Aida, (che gestisce bene quello spazio ancora troppo poco frequentato), allunga la sua proposta di “teatro civile”. Il teatro, cioè, che lancia messaggi di progresso senza trasformarli in sermoni respingenti. Con Stella ci sarà Gualtiero Bertelli, musico - partner di lunga data, e i suonatori della Compagnia delle Acque. Gran bravi suonatori.

 

Senta signor Stella, “Vandali” è del 2011. Siamo nel 2017. Stessa situazione di sterco? O qualcosa è migliorato?

 

Beh, una nota di conforto rispetto a quanto scrivemmo all’epoca dell’uscita del libro è sicuramente Pompei. Allora era un paradigma: i mosaici che si sgretolavano e un commissario che buttava i soldi, tanti, comprando bottiglie di vino pompeiano. Oggi Pompei è in mano al sovrintendente Osanna, uomo di capacità e valore e la sua azione per rilanciare quella meraviglia è evidente. Lo affianca poi un generale dei carabinieri che sta facendo piazza pulita del mercanteggiare e dell’abusivismo intorno al sito. Normalità, si dirà. Ma la normalità, l’efficienza nella nostra Italia significano rivoluzione. Tuttavia se Pompei oggi potremmo toglierlo dal libro delle doglianze, altri scandali sono rimasti tali o sono perfino peggiorati. Al nord, tanto per dire, il castello degli Sforza a Cusago e alcuni monumenti al degrado in Veneto. Al sud Punta Scifo in Calabria, abbecedario delle mostruosità con mega piscine annesse. Ma sarebbe lunga.

 

Ovvio, sarebbe lunga. E poi rovineremmo la sorpresa dello spettacolo. Anche se forse, anticipando, eviteremmo il ricorso ad elettolitri di Malox. Veniamo, piuttosto, alla scelta. Perché il palco? Non bastavano i best sellers d’inchiesta?

 

Perché il palco aumenta la comunicazione, l’allarga, e offre una gamma di altre suggestioni. L’immagine, la narrazione, un dialogo che si instaura con il pubblico, la musica. Per altro io non sono certo nuovo all’esperienza. Con Bertelli siamo andati in scena spesso e su tanti temi. Ad esempio nello spettacolo “Maledette suffragette” abbiamo perorato la causa femminile tra storia e attualità. Poi abbiamo parlato di cibo, di emigrazione. Sintetizzando, di potere.

 

Potere?

 

Certo, il potere che ammazza questa nazione con il sorriso, (il ghigno?) sulle labbra. Ma anche, volendo, il potere di ribellarsi. Quel che di male accade in Italia è responsabilità prima di chi ha responsabilità. Ma chi “lascia fare”, il famoso popolo, spesso non è meglio di chi a parole manderebbe ai lavori forzati.

 

E allora lei divulga. Serenamente, pacatamente. Incazzato ma con eleganza.

 

Non serve urlare. Servono “carte”, serve informazione corretta, serve onestà anche nel fare inchiesta per non farsi tirare la giacca al centro, a destra o a sinistra. Provo, proviamo, a fare questo. E sembra che il pubblico colga lo sforzo.

 

Ma il pubblico che viene a teatro per Vandali come per i suoi altri argomenti in fondo è in fascia protetta. Forse sa già. Già si scandalizza di suo e trova conferme.

 

Non è mica sempre così. Tanti non sanno. O sanno poco. Vogliono capire. Hanno anche il diritto di contestare ma non quello di pensare che la salvezza dell’Italia, (non solo quella architettonico artistica) non sia anche affare loro. Quello che è curioso, anzi no, è il fatto che agli spettacoli gli amministratori pubblici sono un’assenza.

 

E cioè l’essenza del malgoverno?

 

Volendo.

 

C’è una frase nello spettacolo che non esce dalla testa. Tra le tabelline su Pil della cultura, livello infimo della valorizzazione dei patrimoni Unesco di cui siamo leader e tanto altro lei butta lì che un euro investito al Guggenheim di Bilbao ne produce 18 di indotto. Rende insomma di più dell’investimento in cocaina.

 

E’ così. Basterebbe aprire gli occhi. Copiare se serve. Ma nemmeno questo, spesso, sappiamo fare. E non facciamo. La cultura non è un vezzo. E’ economia, occupazione, benessere. Come di fa a non capirlo?

 

E i giovani, ( se non accenniamo ai giovani siamo fuori moda) lo capiscono?

 

Quando vado nelle scuole pare di sì. Partecipano, chiedono, propongono. Ma poi non so. Un fatto è però sicuro. Se fossi un texano vorrei sapere tutto sul petrolio, la mia ricchezza, anche in rapporto alle tecnologie e all’ambiente. Perché se sono in Italia e la mia ricchezza è un’arte che unisce il più piccolo borgo alla grande metropoli, devo restare ignorante? Perché la storia dell’arte è ridotta a materia residuale? E se così non fosse, abbiamo docenti in grado di farla amare?

 

Cos’è una domanda? Le risposte dovrebbe darle lei.

 

Qualcuna c’è nello spettacolo. Ma io testimonio, nel mio piccolo. E nel mio piccolo, in questo caso piccolissimo nonostante la mia stazza, uso una tecnica sperimentata di dialogo, di uso civile del teatro come fanno il grande Paolini e tanti altri più bravi di me. O come Michael Moore in America nell’opporsi alla scemenza pericolosa di Trump. Insomma, ci provo. E visto che in teatro non mi sono mai trovato da solo, forse la strada è giusta.

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