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Il Premio Solinas per la scrittura cinematografica lo vince il trentino Manuel Coser. "Racconto la storia di un uomo in carcere da quasi 50 anni"

"Sono felice, perché a questo progetto ci lavoro da due anni e mezzo, perché significa che l'idea su cui mi sono concentrato è quella giusta". La giuria: "Il progetto mette in luce le possibilità narrative insite nel fare cinema documentario"

Di Donatello Baldo - 24 febbraio 2017 - 17:54

TRENTO. Il Premio Solinas è qualcosa di importante per il mondo del cinema, in particolare per la scrittura, per le sceneggiature e i soggetti. Un riconoscimento che vale molto di più dei soldi messi in palio: “E' un vero e proprio incoraggiamento ad andare avanti, richiama l'attenzione dei produttori a cui si chiede di fidarsi, di valorizzare i lavori selezionati”.

 

Manuel Coser, 38 anni, trentino che da qualche anno lavora a Torino, è entusiasta. Il premio del concorso nazionale l'ha vinto lui, e la giuria ha usato queste parole per motivare la sua scelta: “'L'incorreggibile', la storia di un uomo che per quarant'anni è stato condannato alla reclusione, si apre ora alla vita con tutte le incertezze che ne conseguono. Il progetto mette in luce le possibilità narrative insite nel fare cinema documentario, tra il racconto di un’esistenza e la sua imprevedibile trasformazione”.

 

“Che dire – spiega Coser – sono felice, perché a questo progetto ci lavoro da due anni e mezzo, perché significa che l'idea su cui mi sono concentrato è quella giusta. Fino a pochi giorni fa mi davano retta soltanto i matti e gli esclusi – afferma sorridendo – oggi mi sostiene anche un premio importante come il Solinas”.

 

Un premio decisamente importante se si pensa che tra chi l'ha istituito, in memoria del grande sceneggiatore, compare Gian Maria Volontè, e se si pensa che negli scorsi anni - prima del grande salto nell'Olimpo dei registi da Oscar - è stato premiato anche Sorrentino.

 

Ho passato mesi di isolamento per concentrarmi su questo progetto – ammette il film-maker trentino – perché la storia che racconto non è soltanto la fotografia di una realtà, è piuttosto la narrazione di qualcosa che cambia, che si riscatta, che riesce a deragliare da un binario per troppi anni obbligato”.

 

Vediamo allora di che cosa tratta la scrittura del documentario a cui è stato conferito questo importante premio. “Racconta la storia di un uomo in carcere dal 1971, un rapinatore seriale. Un detenuto che ha ingaggiato una lotta con lo Stato, con l'istituzione penitenziaria. Uno scontro – spiega Coser – che spiega la detenzione così lunga, uno scontro quasi infantile, cocciuto, che ricopia da tanti anni lo stesso schema”.

 

“E' evaso, ha organizzato rivolte e proteste. Negli anni è diventato un attivista per i diritti dei reclusi, l'ho ritrovato anche su una fotografia di Tano D'Amico che lo immortala sui tetti del Regina Coeli durante alcune proteste carcerarie degli anni '70”, spiega il regista trentino.

 

L'incontro con questo personaggio è avvenuto durante un laboratorio teatrale che lo stesso Coser ha tenuto all'interno di un penitenziario. “Un progetto che gli ha poi dato il permesso di usufruire di alcuni permessi per esibirsi con la compagnia anche fuori dal carcere”. Momenti che hanno permesso ai due di approfondire la conoscenza, di far partire questo progetto che a breve potrebbe diventare un documentario”.

 

Questa è la storia di un riscatto, di qualcosa che cambia, dicevamo. “Perché dall'incontro, dall'elaborazione di tutta la sua vita, sta emergendo un cambiamento. Per questo il progetto del documentario è quello di aprire una via diversa dalla 'costrizione', intesa non solo come condizione legata all'istituzione carceraria. Una via che liberi anche la 'costrizione' personale in cui il protagonista si è rifugiato, quello scontro cieco contro il sistema”.

 

“Questo documentario racconta quindi la scoperta di una narrazione nuova. La chiave – spiega l'autore – è proprio questa: la vittoria non è contro il sistema, ma per se stesso”.

 

Il protagonista, che tuttora sconta la sua pena all'interno di una cella, ha attraversato una vita incredibile. “Nato in periferia, ha abitato subito dopo la guerra nei palazzi destinati agli sfollati ed è cresciuto in una famiglia con il padre alcolista cacciato di casa da una madre autoritaria. Poi – spiega Coser – ha vissuto sulla sua pelle un'altra forma di autorità, quella delle suore dei collegi che lo picchiavano”.

 

Voleva studiare, contro il parere della madre che lo voleva da subito al lavoro. Ha conseguito il diploma di geometra alle scuole serali, e anche in carcere ha continuato a studiare: è il bibliotecario dell'istituto penitenziario, lo scrivano dei detenuti, legge tantissimo”.

 

Ma il mondo della malavita l'ha frequentato fin da ragazzo, “nei giri del Ponte della Ghisolfa, negli ambienti di Vallanzasca”, spiega Manuel Coser. Poi ha fatto il militare, “i Parà a Pisa”, una scuola di perfezionamento per un giovane con inclinazioni 'criminali'.

 

Erano gli anni '68-'69, nell'ambiente militare ha sperimentato ancora una vota l'autoritarismo. Lì ha imparato a sparare, ed è uscito con un unico obiettivo: sovvertire l'ordine costituito”.

 

Una storia complessa ma allo stesso tempo avvincente. Una storia Manuel Coser racconta con passione, con entusiasmo. “Ci ho lavorato due anni e mezzo – ripete con un sospiro – mi sono ritagliato un angolo della sede di un'associazione che sorge all'interno di un ex manicomio. Stavo per dare di matto anch'io”, afferma sorridendo. “Ma è stato importante entrarci dentro in questa storia, immergersi fino in fondo”.

 

La storia di una vita. Ma soprattutto la storia di una vita che cambia. “Per questo insisto sul tema del riscatto – torna a dire Coser – perché il cambiamento è stato enorme per lui. Dopo i primi colloqui, gli incontri: ora parla della sua famiglia, della sua vita prima del carcere. Ora, dopo tanti anni, può godere di alcuni permessi per uscire all'esterno”.

 

Manuel Coser, il trentino che ha vinto il prestigioso premio Solinas, saprà raccontare tutto questo in un documentario. Il progetto è già scritto, il soggetto e la traccia di quello che poi diventerà il lavoro compiuto sono già stati premiati. “Ora si va avanti”. Nella speranza, com'è nelle intenzioni del Premio Solinas, che qualche produttore voglia credere in questo lavoro, perché l'hanno detto a chiare lettere: “Ne vale la pena”.

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