Il candidato al Premio Strega Paolo Cognetti al Trento Film Festival: "Castiglioni e Rigoni Stern le mie bussole, uomini giusti"
L'autore de "Le otto montagne" (Einaudi) ha presentato il suo libro dialogando con Carlo Martinelli: "Ma non possiamo negare la chiusura delle terra di montagna, il maschilismo, il razzismo, la spoliazione della cultura, dell'arte. Ma voi siete fortunati"

TRENTO. “Sarebbe bello che uno scrittore di montagna vincesse un premio di pianura”. Paolo Cognetti si riferisce alla candidatura del suo romanzo “Le otto montagne” (Einaudi) al prestigioso Premio Strega. Romanzo candidato anche al Premio Itas, il cui vincitore verrà annunciato nell'ambito del Trento Film Festival.
Cognetti parla del suo libro con Carlo Martinelli, ma soprattutto parla di città e di montagna, di politica, di impegno, di ideali, di quei maestri a cui si è ispirato. Tra questi Ettore Castiglioni, il leggendario alpinista, i partigiano che accompagnò il futuro presidente della Repubblica Luigi Einaudi oltre la frontiera italiana, in Svizzera.
E Mario Rigoni Stern, “che a differenza di Hemingway – un altro suo faro – nei sui scritti raccontava la vita, quella vissuta realmente”. Castiglioni e Rigoni Stern: “Che mi mancano, che chissà cosa direbbero se vedessero questa 'marcia indietro' che sta vivendo il mondo. E il pensiero di Cognetti, sollecitato dalle domande di Martinelli, corre alla situazione europea, a Trump in America, ai venti di guerra e di nazionalismo che ricominciano a soffiare. “Sì – afferma – chissà cosa direbbero loro, se ci fossero ancora”.
“Castigioni – ricorda Cognetti – diceva che un alpinista non può essere fascista”. Un ideale prezioso per lo scrittore quarantenne milanese che scrive di montagna: “Loro hanno deciso, hanno scelto da che parte stare – afferma – e per questo sono riferimenti a cui punto la mia bussola personale come modelli di uomini giusti”.
Montagna e città, questo è il tema che viene poi sviluppato in un incontro molto partecipato, anche dai giovani. “Io sono cresciuto a Milano – afferma – nel conflitto sociale. Ora – continua – nelle città c'è un mondo variegato di culture. A New York si parlano 180 lingue diverse”. Un mondo che in montagna non si trova: “Anche per questo a volte sento la voglia di scappare”.
Cognetti parla del confronto tra città e montagna come di un rapporto dialettico, che si oppone senza però contrapporsi. “Non possiamo negare la chiusura delle terra di montagna, il maschilismo, il razzismo, la spoliazione della cultura, dell'arte”.
“Voi siete fortunati – osserva Cognetti – e il riferimento è al fermento culturale del Festival che anima la città portando cultura e partecipazione. Ma mi rattrista che in altri posti questo non arrivi”. Per questo l'autore de “Le otto montagne” sta organizzando un evento in un paesino a 1.800 metri di altitudine. “Si chiamerà 'Il richiamo della Foresta' – ha spiegato Cognetti – e inviterò anche Mario Corona”.
Mauro Corona è seduto in prima fila, ascolta l'autore con interesse. Quando Cognetti è entrato nella sala della Fondazione Caritro per la presentazione del suo libro, il 'montanaro di Erto' si è avvicinato per salutarlo. Gli ha donato un coltello da montagna: “E guarda com'è affilato”, ha detto Corona, mostrando come tagliava a raso i peli del suo braccio. Un incontro emozionato, un abbraccio spontaneo tra i due autori che hanno sorriso verso le telecamere e gli obiettivi dei fotografi.
“Ma la montagna – prosegue poi Cognetti – è per me il luogo della resistenza. Di quella partigiana ma anche di quella che ha fatto da cornice a fra Dolcino, quella del miei Walser e di tutti quelli un po' strani, quelli come me che in montagna non si sono mai sentiti esclusi”.
