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In attesa di Mira Rai, la bambina soldato diventata atleta da record, l'intervista ai protagonisti di 'Diving into the unknown': "Questo sport travalica l'amicizia"

Venerdì 5 maggio è il giorno di Mira Rai al Trento Film Festival, l'incredibile storia della nepalese, nominata 'Adventurer of the year 2017 di National Geographic'

Diving into the unknow
Di Tiberio Chiari - 04 maggio 2017 - 23:37

TRENTO. Nono giorno del Trento Film Festival e riflettori puntati su Mira Rai, la 'trail runner' nepalese che ha commosso il mondo per essere diventata da bambina soldato un'atleta da record. Venerdì 5 maggio è infatti l'occasione della proiezione, in prima internazionale, del documentario 'Mira: la corsa della libertà' (Supercinema Vittoria alle 21).

 

La nepalese, nominata 'Adventurer of the year 2017 di National Geographic', sarà introdotta e presentata da Marco Cattaneo, direttore di National Geographic Italia. Il documentario racconta la storia di Mira cresciuta in un piccolo villaggio sulle montagne nepalesi dove ha coltivato fin da bambina il sogno di riuscire a emanciparsi attraverso lo sport, superando gli ostacoli che, al pari di tutte le altre ragazze in Nepal, deve quotidianamente affrontare. Non le resterà altra via che fuggire da casa e confrontarsi direttamente con i suoi sogni.


Tra gli eventi e incontri della giornata si inserisce invece 'Industry day' (Sala conferenze della Fondazione Bruno Kessler dalle 9.30). Nell'evento organizzato da Trentino Film Commission nel quale si approfondiscono aspetti legati al cinema di montagna, alla distribuzione al marketing, nonché alla promozione di progetti audiovisivi e di videogioco in ambito europeo (Qui programma e luoghi del Trento Film Festival).

 

Nell'attesa del ricco programma, abbiamo incontrato Juho Harjula e Vesa Rantanen, rispettivamente produttore e protagonista di 'Diving into the unknown', film e documentario atipico e potente. Questa pellicola analizza la 'montagna', intesa come luogo simbolico dell'estremo, (tutta l'azione si svolge infatti in claustrofobiche caverne sottomarine, non su innevate pareti rocciose) il senso di limite e il dramma della morte, con i quali l'uomo deve confrontarsi per poter dire di avere conquistato uno spazio 'nuovo', senza dimenticare i valori come la fratellanza e l'amicizia.

 

Juho e Vesa sono finlandesi, per nulla freddi, introspettivi a tratti, cordiali e attenti, ricordano l'avventura estenuante che questa produzione rappresenta, esprimendo comunque una sorta di gratitudine verso il destino che gli ha uniti attraverso questi fatti drammatici.

 

Come nasce l'idea girare un documentario sulla speleologia subacquea, attività di certo non comune, quasi sconosciuta al grande pubblico?

Juho (produttore): L'idea è nata sei anni fa dopo aver osservato le foto fatte in Turchia dal gruppo di speleo-sub che sarebbero poi diventati protagonisti di questa storia. Le foto riprendevano delle spettacolari grotte sottomarine, ambienti quasi metafisici, alieni. Da questo reportage si sviluppata poi l'intenzione di girare un documentario che parlasse di questo mondo e di questa passione. Il bello di questa attività è che deve essere fatta con compagni di spedizione, non ci si immerge mai soli, non è uno sport che si può fare in solitaria e alla base delle avventure che questo gruppo di professionisti porta a termine c'è sempre un fortissimo legame di amicizia e totale fiducia. La vita del subacqueo in questo tipo di immersioni dipende totalmente da chi lo accompagna e viceversa: proprio da questo legame profondissimo si è sviluppata poi l'intera storia del film.

 

Come sono andate le cose in fase di produzione, la trama del film si è completamente adattata agli eventi giusto?

Juho (produttore): Si, avremmo dovuto filmare una spedizione che il gruppo stava preparando e che si sarebbe dovuta svolgere in Spagna: si sarebbe trattato della più lunga spedizione di speleologia subacquea mai effettuata. Pochi mesi prima della partenza, in un'esplorazione con un gruppo di norvegesi, alcuni dei nostri sub finlandesi avevano scoperto, proprio in Norvegia, l'esistenza di un collegamento tra due grotte che si pensavano separate. Così, prima di andare in Spagna, si era deciso di effettuare la completa esplorazione di quel percorso. L'idea era quella di far unire due gruppi che sarebbero partiti dai lati opposti delle caverne per poi riemergere gli uni dove gli altri si erano immersi. In preparazione delle riprese e come training abbiamo partecipato pure noi a questa spedizione e quindi tutte le immagini, anche quelle della tragedia che ha visto la morte di due di loro, sono immagini originali, documentarie. Dopo questo drammatico incidente ha preso forma  il progetto del documentario che potete vedere oggi rivoluzionando l'idea originale per divenire infine un thriller incentrato sull'amicizia, l'avventura estrema, il limite e la psicologia. Insomma si esplora il mondo e i legami di questo gruppo di uomini che si trovano a vivere una tragedia enorme.

 

Tu fai parte di questo gruppo di amici. Hai partecipato alla prima spedizione e supportato la seconda, quella del recupero, quali emozioni hai provato?

Vesa (protagonista): Un'esperienza dura, una conclusione liberatoria. Il legame tra chi pratica questo tipo di sport è qualcosa che travalica l'amicizia, quando si è sott'acqua tra sommozzatori regna una simbiosi totale. La vita dell'uno dipende da quella dell'altro, recuperare i corpi dei nostri amici rischiando la vita era l'unica scelta che potevamo fare. Si trattava di necessità. Durante la prima spedizione anche io sono rimasto ferito a causa dei danni creati da una decompressione troppo veloce. Ho dovuto accelerare la decompressione per salvarmi. Mi sono poi dovuto sottoporre per cinque mesi a lunghi periodi di camera iperbarica. Ora per fortuna il trauma è superato.

 

Guardando il film si scorge una curiosit a che livello operava il vostro gruppo di speleologia sottomarina, visto che avete portato a termine una missione giudicata impossibile dalle squadre specializzate? E, vista la natura privata della vostro gruppo immagino sia anche molto oneroso finanziarvi questa passione?

Vesa (protagonista): Il livello è difficile da inquadrare, ma sicuramente nel nostro gruppo ci sono dei sommozzatori al vertice mondiale per esperienza e missioni compiute, come Sami e Patrik. All'interno del film vedete le squadre specializzate di inglesi e norvegesi, ma anche loro fanno parte di gruppi di privati perché nei gruppi di soccorso istituzionali non esistono squadre preparate a queste situazioni, vista la difficoltà e l'estrema specializzazione che richiedono questi ambienti per il rischio estremo. Per certe missioni ci si rivolge alle nostre associazioni, anche alcuni di noi hanno partecipato gratuitamente a missioni di salvataggio. Per quanto riguarda l'equipaggiamento, il singolo, per avere un'attrezzatura completa e affrontare la speleologia subacquea, deve investire minimo ventimila euro per un primo approccio, ma per un'attrezzatura avanzata l'investimento sale fino a sessanta mila euro. Ma è la nostra passione.

 

Durante il film si vede una dettagliata ricostruzione 3D della grotta dove è avvenuto l'incidente, veramente suggestiva, ma come sono state effettuate le misurazioni per avere una mappa così dettagliata di un luogo così complesso?

Vesa (protagonista): La procedura è più artigianale di quello che si potrebbe immaginare, ma molto complessa. Durante l'immersione esplorativa la grotta è stata misurata metro dopo metro. Si misura profondità, lunghezza, larghezza e si riporta tutto su una tabella. Una volta in superficie poi si procede a disegnare la mappa seguendo queste dettagliate misurazioni. L'animazione in tre dimensioni è stata aggiunta in produzione. Esiste oggi anche un sistema avanzato di scanner 3D per mappare gli ambienti interni ma è ancora un servizio molto costoso. Noi usiamo ancora quello tradizionale, per scelta, obbligata (sorride).


Per concludere visto che abbiamo parlato di budget per le immersioni, quanto è vi costata alla fine la produzione di questo film, come avete organizzato le riprese? Quale riscontro ha avuto il film?

Juho (produttore): Il costo totale è stato abbastanza alto: sfiora il mezzo milione di euro. È stata sicuramente un'operazione complessa, con molte trasferte e difficoltà, ma anche un'esperienza di vita enorme. Per le riprese abbiamo sfruttato in totale cinque telecamere. Due telecamere per i filmati di superficie. Avevamo inoltre un operatore subacqueo con telecamera professionale che però si immergeva 'solo' fino a 90 metri di profondità. Infine le riprese più estreme e claustrofobiche sono state fatte fino a meno 130 metri con due go-pro applicate sui caschi dei sommozzatori. Dunque  un lavoro complesso sia per noi che per il regista Juan Reina. Il riscontro del pubblico è stato però molto positivo, abbiamo distribuito la pellicola in più di 20 paesi e siamo stati anche chiamati a  partecipare a diverse selezioni di concorsi internazionali. Una grande avventura che continua per noi oggi anche qui a Trento.

 

 

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