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Al don Quijote i ritmi latini della "Sopa latin band" per

Nel locale (club culturale) che ha preso il posto di una libreria, (la Paideia) in vicolo dell’Adige si alternano musica, spettacoli, arte. L’arte che, qui, non è considerata un sottofondo al consumo alcolico o all’ingrasso alimentare

Di Carmine Ragozzino - 24 novembre 2016 - 21:43

TRENTO. Nel “ Don Chisciotte” di Cervantes ogni cosa può essere soggetta a diversi punti di vista (e dunque i mulini a vento diventano dei giganti). Si perde l’esatta concezione della realtà. Ed è, spesso, un gran bene. Al don Quijote – inteso come luogo che a Trento mescola sapori mangerecci variegati con ancor più variegati sapori artistici – la realtà è soggetta, invece, ad un solo punto di vista: lo “star bene” nell’incontro con largo, sempre più largo, uso di spettacolo. Non c’è da troppo tempo il locale, (club culturale) che ha preso il posto di una libreria, (la Paideia) in vicolo dell’Adige. Nel cuore cittadino. Ma da giugno ad oggi gli avvolti si sono riempiti in progressione di volti con le rughe o con i brufoli, (umanità variabile per età) accomunati dalla soddisfazione – quasi stupita- di aver trovato una continuità di proposta artistica al tempo diversificata ed intrigante.

 

E si badi, la continuità fa la differenza. Di posti che offrono musica e dintorni Trento non è poi così avara. Ma tolti casi virtuosi come la Bookique al parco della Predara l’offerta è a singhiozzo, casuale, a volte interessante ma tuttavia senza “progetto”. Al don Chisciotte trentino pare invece che il progetto non solo esista ma sia in crescita tanto per quantità quanto per qualità. Gli appuntamenti sono più o meno settimanali ma spesso occupano interi week end giostrando tra le arti con uno spirito di onesta apertura. Di qui l’alternanza di musiche finalmente senza ancoraggio al solo “local rock”: di tutto e di più tra cantautorato, jazz, soul e blues, divagazioni tecno e altro tra solisti e gruppi. E di qui lo spazio offerto a quel “resto” che altrove non solo non è considerato ma nemmeno immaginato: la prosa, la poesia, la performance multimediale e multidisciplinare.

 

Creativi forse non si nasce ma creativi certamente si diventa. Anche nella gestione di un locale che vuole andare oltre forchetta, coltello, calici di vino o pinte di birra. Ma di creativi frustrati è pieno il mondo, (compreso lo spunto nel mondo che è Trento) vista la difficoltà delle occasioni, degli spazi, da garantire all’arcobaleno delle espressività. Della battaglia per la creatività Fausto Bonfanti è un paladino acciaccato, (come don Chisciotte dopo le sue pugne fiere e perdenti), ma ciononostante ancora agguerrito. E così passo dopo passo, appuntamento dopo appuntamento, il Fausto - dalla sorte infausta da quando il Centro Santa Chiara di cui fu consulente musicale per anni lo ha messo alla porta – sta costruendo un percorso indubitabilmente interessante.

 

In vicolo dell’Adige, (tre euro di tessera che sono una miseria) cura una programmazione che ri/mette a frutto decenni di rapporti in Trentino ed in Italia: piccoli circuiti ma spesso grandi idee. E per chi non se la tira troppo – il mal di presunzione che nell’universo pseudo artistico trentino è una piaga inguaribile – al don Quijote pare ci sia sempre posto. E c’è posto – è quel che più conta e che più genera ottimismo – per una filosofia purtroppo infrequente in tanti pub o bar con uso di spettacolo. L’arte – cioè – considerata priorità rispetto alle birre e agli spritz. L’arte che non è considerata un sottofondo al consumo alcolico o all’ingrasso alimentare. L’arte che – insomma – ha un suo perché, una sua dignità. E l’arte che spazia “nelle arti” variando, alternando, puntualmente i “generi”.

 

Basta l’esempio di questa settimana a tradurre in semplicità un discorso che si sta facendo labirintico anche per chi scrive. Giovedì al Don Quijote c’era il teatro di una compagnia amatoriale, Appunti e Scarabocchi, che invitava a viaggiare tra cabaret, letture, mimica e imitazioni. Sabato gli itinerari del jazz che il locale sta affrontando fin dall’inizio, deviano verso l’America Latina. Sotto l’avvolto-palcoscenico del Don Quijote staranno comodi i tre musicisti della “Sopa latin band” ma faranno un po’ di fatica a piroettare le anche i tanti che vanno in delirio per la salsa, il merengue, la cumbia e quant’altro fa ritmo ed allegria. Ritmo di intrecci trentino-sudamericani quella della Sopa.

 

Jesus "Dr. Chucho" - Alejandro "Cano" - Carlitos "El Mariachi Loco" -Ivo "Maestro Lindo": ecco la band nata dall’incontro fra musicisti latino americani (ma di stanza tra i monti) e locali. Finita? Macché. Martedì 29 approda nel locale il “Punto Gezz quintet”. Gezz per modo di dire perché i cinque rodati musicanti con gran bella voce femminile giocano con gli standard swing come con le icone pop. Ma giocando, rielaborano con una certa maestria fin dal lontano 2009. Ma al don Quijote – si diceva – “spaziare” è un obbligo. Artistico e morale. Ed ecco che il 30 novembre, mercoledì, si danzerà sì, ma facendo danzare il ventre con tutti i sapori orientali del caso. Esemplare, dunque, l’esempio di questo spezzone di cartellone. Ed esemplare la concezione del “promoter” di Bonfanti nell’animare il don Quijote di una visione artistico-culturale che pur nel “suo piccolo” – nel senso fisico del luogo – sembra avere una grande valenza. E’ la valenza del credere che chi ha qualcosa da esprimere abbia diritto a trovare uno spazio per farsi conoscere.

 

E’ la valenza del non rintanarsi nel provincialismo autoreferenziale, (aprendo quindi a proposte nazionali). E’ la valenza della convinzione che in Trentino di creatività e di qualità ce n’è a iosa purché si abbia la voglia e la passione di promuoverla. Al Don Quijote Bonfanti sta cercando di dare corpo ad un sogno condiviso con tanti inascoltati dalla politica sparlante e dalle istituzioni che si guardano l’ombelico. Il sogno di un posto dove si va magari senza nemmeno sapere quel che butta il convento artistico ma con la certezza – basata su continuità e fiducia - di trovare sempre qualcosa di stimolante, intrigante. Sembra poco?

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