Sulla scena la "sicilitudine"di Camilleri
Da giovedì a domenica al teatro Sociale torna la stagione della Grande Prosa con "Il casellante" scritto dal grande autore e diretto da Giuseppe Dipasquale che ha affodato a Moni Ovadia, Mario Incudine e Valeria Contadino il compito di dare vita a diversi personaggi in un "giallo" lungo la linea ferrata. Sullo sfondo lo sbarco americano del 1943 e un'Italia che prova a rialzarsi

TRENTO. Il Teatro Sociale di Trento ospiterà da giovedì 25 a domenica 28 gennaio il quinto appuntamento con la Stagione “Grande Prosa” 2017/2018 del Centro Servizi Culturali S. Chiara. Sarà in scena «IL CASELLANTE», uno spettacolo teatrale tratto dall’omonimo romanzo di Andrea Camilleri. Partendo da Il casellante (Sellerio Editore - 2008), uno fra i suoi romanzi più struggenti e al tempo stesso divertenti, Andrea Camilleri ha costruito assieme a Giuseppe Dipasquale uno spettacolo dove si ride e ci si commuove al tempo stesso e nel quale gli attori e i musicisti, immersi nella stessa azione teatrale, narrano una vicenda metaforica che gioca sulla parola, sulla musica e sull’immagine.
«IL CASELLANTE» racconta una vicenda affogata nel mondo mitologico di Camilleri, che vive di personaggi reali, trasfigurati nella sua grande fantasia di narratore. Una vicenda emblematica che disegna i tratti di una Sicilia arcaica e moderna, comica e tragica, ferocemente logica e paradossale ad un tempo. E’ il racconto delle trasformazioni del dolore della maternità negata e della guerra, ma è anche il racconto in musica divertito e irridente del periodo fascista nella Sicilia degli anni Quaranta.
«Il carattere affascinante di questo progetto, posto essenzialmente sulla novità del testo e della sua possibile realizzazione – scrive Giuseppe Dipasquale nelle note di regia – si sposa tutt’uno con la possibilità di ricercare strade sempre nuove e diverse per la drammaturgia contemporanea. La parola, ed il gioco che con essa e di essa è possibile intraprendere, fa di questo testo un oggetto naturale da essere iniziato e elaborato all’interno di un’alchimia teatrale vitale e creativa. Altro aspetto è quello della lingua di Camilleri. Una lingua personale, originalissima, che calca e ricalca, in una divertita e teatralissima sinfonia di parlate una meravigliosa “sicilitudine” linguistica, fatta di neologismi, di sintassi travestita, di modi d’uso linguistico mutuati dal dialetto e rielaborati in chiave colta.»
Siamo in Sicilia, tra Vigàta (la città immaginaria creata da Camilleri nella quale sono ambientate le indagini del commissario Salvo Montalbano e altri suoi romanzi) e Castelvetrano. Lungo la linea ferroviaria che collega i paesi della costa, fare il casellante è un privilegio che garantisce uno stipendio sicuro. Ma nel 1943, alla vigilia dello sbarco alleato, la zona si va animando di un via vai di militari.
E i fascisti si fanno sfrontati. A Nino Zarcuto, rimasto privo di due dita per un incidente sul lavoro, è toccato un casello stretto tra la spiaggia e la linea ferrata. Si è sposato con Minica e aspettano, finalmente, un figlio. Il lavoro è poco e Nino, appassionato di mandolino, ha il tempo di scendere in paese per dilettarsi in qualche serenata improvvisata. Ma una notte mentre Nino è in carcere, accusato di aver messo in burla le canzoni fasciste, Minica viene aggredita, violentata e perde il bambino. Chi è stato? Uno dei militari di passaggio, o un amico che ha approfittato della sua assenza?
Il finale, a sorpresa come in ogni giallo che si rispetti, sfocia nel mondo del mito: Nino arriverà alla verità e alla vendetta, ma non riacquisterà la pace perché Minica ha perduto il senno. Vuole essere piantata come un albero, e come un albero generare. Il suo corpo comincia a trasformarsi: i capelli in fronde leggere, le braccia verso il cielo come flessibili rami; il corpo si ricopre di corteccia; i piedi in radici.
Commenta il filologo e critico letterario Salvatore Silvano Nigro: «Una fantasticheria vegetale le fa credere di poter diventare albero. Di mettere radici e di dar frutti, dopo essere stata innestata. Il marito l’asseconda, amoroso e sollecito. Il figlio arriva infine, come arrivano i miracoli: donato dagli scrolloni della morte e della guerra. Camilleri si apposta negli svolti della tragedia. E aspetta il lettore, con una candela accesa in mano.»
Ma siamo già nel luglio ´43, sbarcano gli americani e i bombardamenti si susseguono. E sarà proprio da questa devastazione che Minica, novella Dafne, troverà la forza e le risorse per ricominciare a vivere.
Nell’allestimento, che vede affiancati nello sforzo produttivo Promo Music e Teatro Carcano, Moni Ovadia disegna con disinvoltura ben sei personaggi: il narratore, l’aiutante del casellante, il barbiere, il giudice, un gerarca e perfino una buffa mammana. Al suo fianco sono in scena Mario Incudine (Nino, il casellante), al cui estro compositivo si devono anche le incalzanti musiche di scena, un’intensa Valeria Contadino nella parte di Minica, Sergio Seminara e Giampaolo Romania. Le musiche sono eseguite dal vivo da Antonio Vasta e Antonio Putzu. Il regista Giuseppe Dipasquale si è occupato in prima persona anche delle scene, Elisa Savi dei costumi e Gianni Grasso del disegno delle luci. (L'articolo segue dopo il video)
Lo spettacolo, che ha debuttato nel 2016 al Festival dei due Mondi di Spoleto, ha subito incontrato il favore della critica, a cominciare da Pietrangelo Buttafuoco (Il Foglio) che scrive: «Con "l casellante" il canone del grottesco, orbo ormai di figli, ha generato una vera e propria immissione della tragedia greca chiamata a gemmare, in forza della scienza di poesia, in un innesto perfetto: nel vivo tronco della commedia. Valeria Contadino, in scena, ferma il cuore in gola agli spettatori. E’ la dea madre. Mario Incudine, musicista oltre che attore, ha fabbricato lo spartito che farà cantare tutti. Moni Ovadia, nel ruolo del Deus ex machina, ha trascinato il tempo scenico nell’istante perfetto del cuntu. Grazie a loro, ho vissuto l’entusiasmo di uno spettacolo di pura catarsi.»
Ecco come Camillari racconta "Il casellante"
La rappresentazione de «IL CASELLANTE» sarà accompagnata, nel pomeriggio di venerdì 26 gennaio presso lo spazio ridotto del Teatro Sociale, da «FOYER DELLA PROSA», incontro di approfondimento critico curato da Claudia Demattè e Giorgio Ieranò che il Centro Servizi Culturali S. Chiara propone in collaborazione con il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento. La partecipazione è libera e aperta a tutti e l'appuntamento, al quale interverranno Moni Ovadia, Mario Incudine e Valeria Contadino, è fissato alle 17,30. La discussione sarà introdotta dal professor Giorgio Ieranò dell’Università di Trento.