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Cinquant'anni fa moriva Dario Wolf, grande artista trentino del Novecento

DAL BLOG
Di William Belli - 27 gennaio 2022

"Memorie dal sottosuolo"  itinerari di storia ed arte nel Trentino

Cinquant'anni fa, il 29 luglio 1971, moriva Dario Wolf, uno dei più significativi artisti del Novecento trentino. Autore di magnifiche incisioni, di quadri, di pale d’altare e di affreschi, Wolf fa parte di quel gruppo di artisti trentini che, muovendosi con soluzioni originali nel solco del Simbolismo e dello Jugendstil, hanno inserito l’arte locale nell’ambito europeo. Nella traccia del Simbolismo e della Secessione Wolf sviluppa, dagli anni Venti agli anni Sessanta del Novecento, un percorso originale, perseguito con un perfezionismo che si rivela fin dalle prime opere grafiche, eseguite a vent’anni, nelle quali confluiscono elementi simbolisti, esoterici, psicologici.

 

Nato a Trento nel 1901, Wolf ebbe dalla famiglia, una delle operose e colte famiglie dell’Impero austriaco, la propensione all’arte: il nonno, fornitore di mobili per la corte di Casa d’Austria, il padre, direttore di una falegnameria industriale e appassionato di aeronautica fino a costruire un proprio aereo, la zia, musicista e suonatrice di cetra. Le prime suggestioni della Secessione viennese gli vennero trasmesse dal pittore Luigi Bonazza, suo insegnante di disegno all’Istituto tecnico di Trento che lo indirizzò a Roma, all’Accademia Inglese di Belle Arti, dove insegnava il simbolista tedesco Lipinsky, fondamentale nella formazione artistica di Wolf, che lo ricorda nei suoi “Ricordi d’infanzia e di gioventù”: “Non conobbi artista, come Lipinsky, che avesse così chiaro e affinato il senso della forma. I suoi insegnamenti divennero parte viva di me stesso e diedero forma viva all’espressione della mia fantasia pittorica che ebbi sempre fervidissima.”

 

A Roma Wolf si avvicina agli esoteristi che gravitano attorno alla figura di Julius Evola e alla rivista “Atanor”, per la quale nel 1924 disegna la copertina. Sono dell’epoca le incisioni concepite come opere esoteriche-ermetiche Furor animae e la Superstizione, quest’ultima illustrata da Domenico Rudatis nell’Annuario del CAI del 1987 e considerata una delle opere più affascinanti dell’arte incisoria del Novecento italiano. La montagna, luogo di ascesa, quasi di ebrezza mistica, compenetrazione dell’uomo con l’assoluto, è elemento fondante nell’estetica di Wolf, tradotta nelle suggestive acqueforti Mito della montagna, excursus filosofico, simbolico ed esoterico, apoteosi wagneriana dell’uomo che s’innalza fino alle vette, Gli amici, dedicata allo scalatore Pino Prati, che pochi mesi dopo morirà proprio sul Campanil Basso, sfondo dell’incisione, Dalle vette eccelse…

 

E’ poi la volta, negli anni Trenta, delle due tele I Titani e La cacciata dei titani, generosamente donate al Mart dalla famiglia, nelle quali la sfida dell’uomo di fronte al destino si conclude con un rassegnato pessimismo.

In questo periodo Wolf gravita nel “Circolo Artistico Trentino”, con i pittori Bonazza, Ratini, Bernardi e Covi, gli scultori Zuech, Rigatti e Bonapace, e gli architetti Wenter Marini e Sottsass, artisti di impronta simbolistico-letteraria, l’ultimo innesto in terra trentina del tronco mitteleuropeo delle Secessioni.

 

E’ un periodo fecondo, nel quale il pittore, oltre a partecipare a mostre nazionali dell’incisione e alle esposizioni della Venezia Tridentina, si cimenta nell’arte sacra con le acqueforti dedicate alle Virtù Teologali, le pale d’altare di Trambileno, del Santissimo Sacramento di Trento, di Seo, e gli affreschi Madonna fra Santi (ancora in attesa del necessario restauro) di Casa ex Pedrotti, a Trento e le grandi opere murali delle chiese di Taio e di Vervò, dove dipinge una Via Crucis con le solenni figure a grandezza naturale, nelle quali si riconoscono ancora gli abitanti del paese che posarono come modelli; sono opere lontane da una stucchevole devozione, supportate dalla maestria del disegno derivata dai suoi studi giovanili all’Accademia.

 

Negli anni Trenta, oltre ad insegnare disegno e storia dell’arte presso l’istituto magistrale Montanari di Verona, Wolf dipinge il trittico Il giorno, allegoria delle età dell’uomo nel quale si fondono la tradizione popolare e gli accenti simbolisti, esegue magnifiche incisioni per raccontare i temi delle cadute e ascese dell’umanità tra vizi e virtù: la Miseria, la Carità, Atropo, il Cancro, autoritratto nel quale il pittore offre la gola a un mostro tentacolare, presagio della malattia che lo porterà alla morte quarant’anni dopo.

 

Nascono in questo periodo gli inquietanti pastelli destinati a illustrare i “Racconti straordinari” di E.A. Poe, opera che sfiora gli accenti del surrealismo e che compie l’iter fantastico, spesso venato di macabro, che affonda le radici nei cupi racconti del nonno, come ricorda Wolf in “Racconti dell’infanzia e di gioventù”, …

 

Nel secondo dopoguerra il Simbolismo del” Circolo degli Artisti trentini” non è più punto di riferimento per le correnti artistiche del Novecento, gli amici di un tempo, Bonazza, Ratini, sono scomparsi, Wolf, assertore della bellezza che porta nei mondi superiori, prosegue fedele la sua strada e si apparta in un isolamento operoso, che vede una nuova disponibilità verso la natura e il quotidiano, sempre indagati nel lato misterioso e nascosto. Oltre alle incisioni Vicolo dei Birri, dove ha lo studio, Castel Toblino, Lungadige a Verona, Wolf disegna ritratti di amici e di famigliari filtrati attraverso la memoria, tracciati con segno conciso e concentrati sulla resa psicologica ed realizza una prolifica, anche se poco conosciuta, serie di quadri di paesaggio, nei quali il pittore indaga la luce e i colori nel variare delle stagioni trasformandoli in luoghi della memoria e raggiungendo esiti che lo avvicinano all’arte informale; più che naturalistici, sono paesaggi dell’anima.

 

Redige anche affettuose biografie artistiche degli amici Ratini, Bonazza, Bernardi e compone gli scritti “A convegno sul Brenta” (1967), scintillante omaggio alla montagna ed “Elogio dell’acquaforte nella sua particolare attitudine a rappresentare momenti di vita interiore”, che sigla con le parole che rimandano al credo artistico perseguito per tutta la vita: “Se parliamo di ispirazione è necessario pure parlare di forma, che deve essere elettissima. E la composizione e la forma sono i mezzi che servono a realizzare una sensazione di armonia”.

 

Quasi ignorato nei repertori ufficiali dell'arte figurativa del Novecento, negli ultimi decenni l' arte di Dario Wolf, con la sua elevazione iniziatica e spirituale, il segno perfetto, e magico e arcano, delle sue incisioni, è stata rimarcata da esposizioni di grande suggestione, a Trento, a Graz, a Cento, a Torino. Le bellissime incisioni di Wolf, nelle quali l'artista, come in una sorta di scrittura, ha palesato il suo mondo fantastico e onirico e ha rivelato le più segrete inclinazioni della sua anima, sono diventate di estrema attualità in un periodo che vede l'arte sconfinare in campi inaspettati: fumetti, fiction, street art e tatuaggi.

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