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Barriere anti-terrorismo? Attenzione, i simboli plasmano i nostri pensieri

 L'obiettivo dei terroristi è spargere il terrore. Se la nostra quotidianità viene permanentemente condizionata dallo spauracchio di un ipotetico attentatore suicida, il sedicente "Califfato" avrà comunque vinto mentre Daesh sta crollando sul campo e per la primavera del 2018 il Medio Oriente potrebbe davvero rifiorire
DAL BLOG
Di Stefano Fait - 31 agosto 2017

Anticipatore sociale, analista di macrotendenze consulente strategico

"La violenza sincronizzerà i tuoi movimenti come una melodia, e il Terrore come un gelo dovrà arrestare l'alluvione del pensiero. La caserma e il bivacco saranno il tuo rifugio confortevole, e l'orgoglio razziale troneggerà come una colonna pubblica e confischerà in nome della sicurezza ogni patimento privato. Lascia la Verità alla polizia e a noi; a noi che conosciamo il Bene; a noi che costruiamo la Città Perfetta che il tempo non potrà mutare; La nostra Legge ti proteggerà sempre come una cerchia di montagne" (W.H. Auden).

 

Anche a Trento, un improbabile bersaglio della furia islamofascista, potrebbero arrivare le fioriere anti-terrorismo a "ravvivare" l'arredo urbano. Lunedì se ne discuterà in giunta comunale. È bene che la città s'interroghi su queste soluzioni dal pregnante contenuto simbolico, perché i simboli plasmano i nostri pensieri, azioni. L'arredo urbano ai tempi dell'islamofascismo è la recinzione che restringe i nostri orizzonti di comprensione della realtà, rendendoci meno lucidi e assennati, più tremebondi, nevrotici e nervosi.  

 

Se si procederà in questo senso, il suddetto potere simbolico andrà neutralizzato, disattivato, mitigato, se vogliamo che il buon senso prevalga sugli istinti ferini. I fiori sono benvenuti, ma sono solo il primo passoL'obiettivo dei terroristi è spargere il terrore. Se la nostra quotidianità viene permanentemente condizionata dallo spauracchio di un ipotetico attentatore suicida, il sedicente "Califfato" avrà comunque vinto senza sprecare un singolo "martire". Saremo sconfitti quando ci saremo lasciati convincere che i nostri valori, le nostre istituzioni, il nostro futuro siano realisticamente minacciati dal terrorismo di matrice islamica.

 

A quel punto il panico esistenziale altererà i nostri riflessi e reazioni: al posto di un salutare scetticismo nei confronti del potere, si insinuerà una crescente deferenza; al posto della curiosità verso l'altro, la xenofobia e la chiusura a riccio. Ci hanno detto che la "Guerra al Terrore" non terminerà mai: pertanto non c'è limite a quello a cui dovremo rinunciare. Diventeremo sempre più simili al nostro nemico: perderemo la democrazia sostenendo di volerla difendere. Incoraggiante è invece l'atteggiamento sdrammatizzante di chi ha commentato che "il verde ci sarebbe stato molto bene anche senza l'isis. Peccato che non ci abbiano pensato prima. Io ci metterei anche una bella fontana, che dà un senso di freschezza in queste piazze infuocate". Acqua e verde urbano senza dubbio rilassano gli animi umani.

 

La paura è spesso più intensa laddove non si è fatta un'esperienza diretta della fonte delle proprie ansie. Nei sondaggi del periodo bellico il 50% dei cittadini inglesi si diceva contrario al bombardamento dei civili tedeschi e questa percentuale cresceva proprio a Coventry, che aveva sofferto l'impatto di 500 tonnellate di esplosivo e di bombe incendiarie al fosforo sganciate dai bombardieri nazisti. Fortunatamente per noi tutto questo sta per finire, per varie ragioni, ma principalmente perché altre nazioni e altrui forze armate si sono date da fare al posto nostro; si sono lordate le mani mentre noi subivamo passivamente questo stato di cose, con la coscienza sporca. È infatti improbabile che il "califfato" di Daesh responsabile dell'ondata di panico che attraversa l'Europa arrivi al suo quarto anno di vita, nel corso del 2018, perché l'ammontare di territori e popolazioni sotto il suo controllo è in drammatico calo perché le sue fonti di finanziamento si stanno prosciugando e se mancano i soldi i mercenari non hanno più ragione di combattere. 

 

Il Califfato controllava un'area di oltre 90mila chilometri quadrati a inizio 2015, paragonabile alla superficie del Nord Italia senza l'Emilia Romagna, con una popolazione occupata di 10 milioni di abitanti. Grazie all'azione di un'alleanza di forze russe, iraniane, libanesi, siriane, irachene, curde e di volontari provenienti da tutto il mondo, questa si è ora ridotta a poco più di 36mila chilometri quadrati, inferiore alla superficie complessiva del Triveneto, con un quarto della popolazione originaria ancora soggiogata. Meno del 7% dell'Iraq è ancora oppresso dall'islamofascismo, contro il 40% del 2014. Si stima che Daesh abbia anche lasciato sul terreno l'80% delle sue entrate.

 

L'epilogo? I militanti islamofascisti sono costantemente sulla difensiva, non riescono più a rimpiazzare i caduti, sono stati rimossi dal confine col Libano e da tutte le principali città siriane, una delle due grandi sacche tra Homs e Palmira è stata liquidata, le truppe asserragliate nella "capitale" Raqqa subiscono l'attacco congiunto curdo-statunitense e venderanno cara la pelle; le restanti forze paiono destinate a trovarsi accerchiate nel deserto in una manovra a tenaglia tra forze irachene e forze siriane, oppure a radunarsi nella zona del Golan, al confine con Israele, che non si è mai dimostrato ostile nei loro confronti.

 

Il Califfato terminerà i suoi giorni con la primavera del 2018, una primavera di rinascita per l'intero Medio Oriente. L'Iran sarà la nuova potenza egemone dell'area e la Nuova Via della Seta cinese apporterà tutti i capitali necessari non solo per la ricostruzione, ma per un vero e proprio boom economico che farà riaffluire in patria la maggior parte dei rifugiati iracheni e siriani e avvierà il processo di emersione di una futura confederazione araba che tra le sue priorità avrà quella di stroncare sul nascere ogni risorgenza islamofascista nell'area.

 

Le nostre fioriere a prova di terrorismo finiranno nei musei della guerra o saranno riciclate in qualche installazione di arte contemporanea.

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