Siamo così ciechi da non capire che senza acqua noi moriremo, il pianeta no: la nostra era è l'Arrogantropocene


Devo dire la verità: non condivido il termine “antropocene” usato da molti filosofi della scienza e scienziati per classificare questo tempo. E’ l’ennesimo modo – credo - di mettere al centro dell’universo, di tutto, l’uomo invece della vita, intesa come natura, Pianeta, Mondo. Siamo marginali nel tempo e nello spazio in questo Pianeta, ma continuiamo a pensarlo "a nostro uso e consumo esclusivo". E così, ci appropriamo di un’era.
A questo punto, se dobbiamo rimanere al centro, definirei piuttosto questo tempo come “Arrogantropocene”. Perché l’elemento determinante non è il fatto che esistiamo come specie. No: il fatto essenziale è che siamo arroganti. Se la misura del tempo, in natura, è il divenire, noi viviamo fuori da questo tempo naturale. Per usare – sfruttare - meglio il Pianeta, abbiamo adattato il tempo alla nostra dimensione. Siamo ancorati al presente – che semplicemente non esiste -, con un occhio al passato – che è convenzione, ricordo – e senza alcuno sguardo al futuro.
Ciechi, quindi. Così ciechi da non capire che questa siccità terribile che ci attanaglia e che renderà complessa e difficile la nostra esistenza, per il Pianeta è un banale divenire delle cose, uno dei tanti cambiamenti creati continuamente dalla somma dei fattori esistenti, naturali o meno. Traduco: noi senz’acqua moriremo, il Pianeta no, perché troverà soluzioni. Nel suo “divenire” cambierà forme e modi, ma andrà avanti. Con altre vite, altre esistenze.
Nell’”Arrogatropocene” questa visione delle cose non è concepita o concepibile. La fine del nostro Mondo è la fine del Mondo assoluta. E siccome siamo certi di essere noi il Mondo, cioè di essere i migliori, non cerchiamo soluzioni, anzi, continuiamo a sfruttare tutto quello che ci capita a tiro. Che il mare avanzasse era cosa nota da decenni. Lungo le coste toscane sono almeno vent’anni che l’acqua salata colonizza i pozzi, rendendo difficile l’agricoltura. La portata sempre più scarsa dei fiumi, da anni fa entrare per chilometri le maree e le previsioni dicono che entro cent’anni - appena quattro generazioni - Verona sarà un magnifico porto sull’Adriatico.
La desertificazione in atto, dovuta alla siccità, legata al rapido cambiamento climatico, interessa attualmente il 28% del terreno agricolo nazionale. I danni calcolati da Coldiretti per quanto sta accadendo sono di 2 miliardi di euro, con un calo del 30% della produzione agricola. A livello mondiale, il quadro è ancora più drammatico: perdiamo un ettaro di terra coltivabile al minuto e l’8% della popolazione planetaria rischia la siccità totale.
Ancora, torniamo in Italia: sono anni che nel ricco – d’acqua – Trentino, intere comunità sopravvivono alla carenza di piogge grazie all’arrivo dell’acqua con le autobotti. Fatto normale: no, non lo è. In compenso, si sono creati decine di invasi artificiali, non per fare scorta d’acqua, ma per avere l’acqua per l’innevamento artificiale. Fare la neve per i turisti, che spesso sciano su piste deprimenti, che potrebbe trovarsi in centro a Milano, invece che in montagna, ci sembra più intelligente che averla per bere, lavarci, usarla nelle campagne. Anche qui, piccolo esempio: secondo Legambiente, per imbiancare una pista da sci di 1.600 metri di lunghezza servono fino a 20.000 metri cubi di acqua. In Trentino, la superficie sciabile è di 1.536 ettari. Di questi, 1.279 sono innevabili artificialmente.
Non fate i calcoli, potreste rimanerci male. E poi, questo tipo di conti nell’”Arrogantropocene” non si devono fare. Per noi umani, il futuro è qui e adesso e la nostra gloriosa era dura quanto un battito di ciglia. Così leggero, che il Pianeta nemmeno si accorgerà che saremo spariti.