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Tutto quel che dobbiamo a un «devoto alla carta». Per Carlo Martinelli

DAL BLOG
Di Il Lanternino - 28 ottobre 2024

di Stefano Zangrando, docente, traduttore e autore

È fra i giornalisti culturali cui il Trentino deve di più. È il recensore e mediatore letterario per eccellenza di questa terra. Ha scritto di migliaia di libri, ha presentato centinaia di autrici e autori, ha pubblicato libri propri e altrui in forme appartate o semiclandestine: in quanti, mi ero spesso domandato, gli dobbiamo qualcosa e proviamo per lui un’inespressa gratitudine? Giacché non è forse vero che, se lui ha scritto di quasi tutti, su di lui non hanno scritto che in pochi?

 

 

La domanda è riemersa due giorni fa all’arrivo della sua ultima Piove – questo il nome della sua newsletter, che da un paio d’anni diletta due o tre volte al mese i suoi destinatari con un articolo ispirato da uno o più libri, e sempre animata da uno slancio appassionato. Stavolta Carlo Martinelli, dopo aver omaggiato il libraio e bibliofilo che ha trasformato la scena del commercio librario in Trentino e non solo, ha ricordato un aneddoto di mezzo secolo fa: un incontro mancato, addirittura rifiutato, a Londra con i Genesis e Peter Gabriel, ai quali quel giovane fan del prog rock avrebbe di gran lunga preferito Peter Hammill e i Van der Graaf Generator. Questo per poi nominarne altri, d’incontri, o meglio: la lunga lista degli autori e delle autrici che Martinelli ha incontrato e moderato nell’arco di un trentennio.

 

Basta poco, tuttavia, per capovolgere la prospettiva. È vero infatti, per moltissime persone di quella lista, che vale altrettanto l’affermazione contraria: siamo noi che a un certo punto del nostro percorso – letterario, giornalistico o editoriale – abbiamo avuto la fortuna di incontrare Carlo Martinelli. Ne sono convinto, pur non essendo in grado di elencare tutto ciò che egli ha fatto e profuso in decenni di carriera: siamo in tanti a poter dichiarare questa fortuna, e che nei suoi confronti non ci sdebiteremo mai abbastanza. Perché la generosità di Carlo, il suo animo solidale e militante, sempre unito a un’intraprendenza rispettosa dell’altrui volontà, non ha eguali in un mondo insidioso come quello dell’editoria, reso spesso impossibile da narcisismo, competizione e meschinità. Tutti aspetti, questi ultimi, che lui non riuscirebbe neppure a simulare, ma neanche sforzandosi.

 

La pagina dei libri che per anni ha curato per il quotidiano «Alto Adige» e poi per il «Trentino» aveva sì le caratteristiche in parte neutrali di una vetrina, com’è ragionevole in un simile servizio a lettrici e lettori, ma nelle posizioni più in vista Carlo ha sempre avuto cura di mettere i libri in cui credeva di più, sostenendo alcuni titoli più di altri e mai con un intento clientelare o interessato, ma sempre animato da una sincera convinzione nel valore dei testi. E i volumi e quaderni che lui stesso, in anni recenti, si è messo a pubblicare nella sua etichetta POCOlibri, perle dalla storia del calcio sempre selezionate anche in base a un afflato politico e sociale, ne attestano il gusto della sodalità al di fuori del dannato mercato: giacché per averli o gli scrivi in privato per farteli spedire o, com’è capitato a me, gli chiedi un incontro di persona in un qualsiasi bar di Trento, dove procedere allo scambio con fare quasi furtivo, come se si trattasse di gioielli rubati.

 

«Devoto alla carta» si legge nel profilo del suo blog qui su «Il Dolomiti», dove poi si nominano le sue pubblicazioni d’autore (raccolte di racconti, storie, cronache) e ciò che qui ho ricordato solo in parte della sua lunga attività di giornalista. È chiaramente, quella “devozione”, un’espressione d’inattualità – anche questa una parola cara al nostro – che però non va confusa con un atteggiamento conservatore. È anzi assai difficile trovare una persona che come Carlo Martinelli pratichi un progressismo quotidiano, fatto di una mitezza battagliera, di perseveranza e spirito di condivisione, di fiducia resistente nell’umano quando è orientato al bene, e nelle forze della passione quando è orientata a costruire bellezza, non importa se in forma sportiva o letteraria. Come ciò in cui crede, Carlo ha contribuito e contribuisce a rendere il mondo migliore, e non l’ha fatto mai da cavaliere solitario, ma sempre aprendo le braccia agli altri: invito, accoglienza, sprone, affetto. Nobiltà di spirito.

 

Chissà se i colleghi e amici che lo conoscono da tempo e da vicino nel prossimo paio d’anni, in vista del suo settantesimo compleanno, vorranno organizzare un volume collettivo per celebrarne la carriera. Sarebbe bello e anche utile, poiché il lavoro culturale di Carlo Martinelli ha la varietà multiforme di un continente: chiunque ci abbia avuto a che fare ne ha conosciuto una parte, certo fedele al nucleo di autenticità che sempre emana da quest’uomo dal cuore grande, ma comunque una piccola parte, a meno di non poterne vantare una frequentazione più intima.

 

Un esempio personale: non so più come entrammo in contatto, all’inizio degli anni duemila, ma a lui devo le primissime recensioni che potei pubblicare su un quotidiano, e le prime interviste a scrittori che potei fare per un periodico, e le prime recensioni a certe mie pubblicazioni. Si riesce a immaginare quanto sia importante, per un giovane che fa i suoi primi passi in un territorio culturale, avere qualcuno che lo sostenga e creda in quello che fa? Ed era solo l’inizio – ma mi fermo qui. È che so di non essere il solo. A ognuno il suo Martinelli, a tutti quello pubblico. Per godersi la compagnia di quest’ultimo, qui ci si può iscrivere alla sua newsletter.

Grazie, Carlo, anche da parte mia.

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