
di Stefano Zangrando, docente, traduttore e autore
Nel centro di Pinzolo c’è un posto che sprigiona una bellezza discreta, che si nega alle apparenze: ci arrivi di fronte, vedi l’insegna industrial su cui si stagliano un logo – corna stilizzate – e la scritta HIRSCH, scorgi appena qualche bell’oggetto alle finestre in alto, giri l’angolo, varchi la soglia dell’ingresso al piano terra e ti ritrovi, accolto da una musica elettronica suadente, in un’atmosfera cosmopolita e al tempo stesso raccolta, confortevole. È il “concept store” di Eliseo ed Eva Franchini, boutique e tattoo studio ad un tempo.
L’ho scoperto all’alba della pandemia, poco prima che tutto chiudesse. Un giorno di qualche mese prima, in una palestra destinata a soccombere ai ripetuti lockdown, sull’avambraccio di una ragazza dai capelli lilla avevo scorto un disegno diverso da tutti quelli visti sui corpi che avevo incrociato negli ultimi dieci o vent’anni. Era piccolo, delicato, aveva un colore, qualcosa di floreale, un che di nipponico, soprattutto aveva una grazia e, come dire, un movimento. Le chiesi dove l’avesse fatto. Mi nominò un posto a Trento e il nome del tatuatore – Eliseo, un nome che resta impresso. Lo cercai su internet, lo contattai e, siccome avevo un conto in sospeso con la mia storia personale, ci confrontammo per un po’ intorno a un’idea. Poi, una mattina di fine febbraio del 2020, mi presentai alla porta del suo nuovo esercizio di Pinzolo, inaugurato otto mesi prima. Ne uscii dopo due ore con un segno sul corpo, un paio di jeans giapponesi e un maglione di lana svedese, il più bello e caldo del mio guardaroba.
Ci sono tornato di recente, trovando conferma di qualcosa da valorizzare (e lasciando il cuore su un pullover di cashmere fuori dalla mia portata, vabbè). L’Hirsch Concept Store non è solo un luogo di commercio e lavoro, altrimenti non sarei qui a scriverne o, peggio, questo non sarebbe altro che uno spot. Ma il negozio dei fratelli Franchini è soprattutto l’espressione di un fiuto per il bello e di uno stile di vita. Lui, classe 1981, originario di Borgo Lares, poco fuori Tione, ha studiato all’istituto “Vittoria” di Trento, si è fatto le ossa in un’agenzia pubblicitaria del capoluogo, nel 2005 si è trasferito nel riminese e ha iniziato a tatuare. Dopo varie tappe in giro per l’Italia è riapprodato in Trentino, prima a Rovereto e poi alle Albere, fino ad aprire questo store in val Rendena con la sorella, la quale oltre a una laurea in scienze giuridiche – interpellata al riguardo, mi parla di Boezio e Cicerone – ha la passione dell’abbigliamento.
Eva ed Eliseo, oltre a ospitare prodotti internazionali selezionati, insieme hanno creato un brand, quelle corna di cervo che campeggiano sull’insegna e si ritrovano in diverse stilizzazioni su indumenti e accessori per realizzare i quali si servono di manifatture italiane qualificate. Il cervo fa pensare alla montagna, ovviamente, ma c’è dell’altro: è un animale grande, mi fa notare Eliseo, ma è difficile riuscire a vederlo, si palesa raramente; nel paganesimo era oggetto di culto e nella città giapponese di Nara, non lontano da Kyoto, i cervi girano liberamente per le strade in quanto “sacri messaggeri degli dèi”. E perché “Hirsch”, gli chiedo, in tedesco? Risponde che è yiddish e che una sua linea familiare, appunto ebraica, fu inghiottita dal peggior Novecento. Racconta tutto ciò con una misura pacata, quasi timida, densa di parole inespresse, la stessa con cui si approccia alle persone su cui posa l’ago e alle quali, dal sito dello store, si rivolge così: “Non riesco a tatuare ciò che non mi rispecchia e ciò che non mi appartiene, scusatemi, ma quando tatuo siamo una cosa sola”.
Alle pareti del laboratorio ci sono alcuni suoi dipinti, montagne rocciose o innevate su cieli che sfumano dal rosa acceso al viola, non so dire se più caldi o malinconici. C’è anche, un po’ nascosta, una targa, un “premio Vittorio Sgarbi” vinto in occasione di una mostra organizzata a Ferrara dall’omonimo critico. Eliseo mi racconta di aver realizzato anche ritratti di celebri compositori di musica elettronica: i Daft Punk, ad esempio, o Giorgio Moroder, che non ha mai incontrato – il periodo in cui il maestro arrivò a Ortisei, lui era in Giappone per lavoro – ma al quale fece portare in dono l’opera dal padre e che avrebbe appeso il quadro sopra il caminetto, tra i dischi d’oro.
Ma è nel tatuaggio che Eliseo esprime al meglio il suo stile originale, in cui ha cercato una fusione dell’astratto con l’arte pittorica giapponese. Ama Pollock e i kanji, i sinogrammi, dunque il “gesto artistico”, il segno grafico, il movimento elegante e aggraziato, lo stesso che vidi sull’avambraccio della ragazza dai capelli lilla e che si trova in molteplici varianti esposte nel suo sito personale. A volte, se il cliente lo richiede, compare un colore aggiuntivo, ma lui personalmente predilige il solo inchiostro nero, per il contrasto senza eguali che crea sulla pelle. Il suo temperamento umbratile, capace tuttavia di illuminarsi quando parla di quello in cui crede, ha qualcosa del cervo che si lascia scorgere di rado, e pare tutt’uno con la dimensione sotterranea ma tutt’altro che oscura del suo laboratorio, mentre al piano di sopra l’estroversione di Eva si accorda bene alla calibrata varietà dello store.
La pandemia, mi confida infine Eliseo, gli ha dato modo di riscoprire una parte di sé. Gli è tornata dopo molto tempo la voglia di muoversi, di andare – altrove e verso se stesso. A Pinzolo ora ha una base, nota ben oltre i confini regionali, dove ritornare e mettere a frutto ciò che raccoglierà nelle sue esplorazioni. Ma se c’è una cosa che sembra non avere, e che in generale sembra restare fuori dalla porta, è la fretta. Ecco, anche questo: all’Hirsch Concept Store regna una strana calma. Sarà lo zen.