Lassù nel verde: un dispiaccio dal festival "Licanìas" in Sardegna tra parole, arti e paesaggio. E perché non pensare a un gemellaggio con Rovereto?


di Stefano Zangrando, docente, traduttore e autore
All’arrivo in automobile, dopo una serie di curve e tornanti, l’insegna con il nome del comune è accompagnata, subito sotto, da un altro cartello: “Città del vino”. Ma non è una località trentina né altoatesina o di altre province dell’Italia continentale. È Neoneli, un paese di seicentocinquanta abitanti dell’entroterra sardo, nella zona chiamata Barigadu, dove la provincia di Oristano si accosta al confine con quella di Nuoro.
È qui, fra le case ristrutturate di questo bel centro a 600 metri d’altitudine, che di recente è capitato il mio Lanternino. L’occasione era la settima edizione di un festival letterario chiamato Licanìas, “leccornie”, un evento voluto dal sindaco Salvatore Cau, al suo terzo mandato, e sostenuto dalla Regione Sardegna.
Il viaggio in macchina da Cagliari l’ho fatto con Giuseppe Culicchia, scrittore molto noto fin dall’esplosivo esordio quasi trent’anni or sono con il romanzo Tutti giù per terra. Autore oggi maturo e dal successo consolidato, negli anni scorsi era stato ospite del festival e poi dello stesso Comune di Neoneli, che periodicamente ospita uno scrittore o una scrittrice che ne racconti il territorio. Quest’anno invece Culicchia è stato chiamato a dirigere il festival, e il programma che ha messo insieme sotto il tema-ombrello “Muri” si può consultare on line. Desta ammirazione che, oltre a dirigerlo, ne abbia poi anche moderato la maggior parte degli incontri. Ma è di altro che qui voglio riferire.
Diverse persone con cui ho parlato nei miei tre giorni di permanenza mi hanno confermato che non è stato facile mettere in piedi un simile evento. Un po’ come ovunque, non tutta la popolazione è sensibile alla cultura e non manca neppure chi vi coglie addirittura un elemento di disturbo, soprattutto se l’iniziativa assorbe cospicui finanziamenti pubblici ed espone il luogo a una visibilità anche turistica non da tutti gradita. È il problema delle periferie rurali o post-rurali, dove il denaro, se c’è, è associato più volentieri a un benessere materiale senza troppe aperture di civiltà – ce lo insegna lo stesso disprezzo verso la cultura umanistica diffuso nelle nostre valli o nel vicino Veneto, che nel secolo scorso è stato il laboratorio esemplare di uno sviluppo senza educazione.
Ma non esistono soltanto politici miopi o difensori di interessi meramente economici. C’è sempre una parte di cittadinanza sensibile alla crescita anche culturale della comunità, e ci sono amministratori illuminati che lo sanno. Neoneli ne è un esempio, e il suo Licanìas non ne è l’unico prodotto. Prima della kermesse letteraria era nata quella eno-gastronomica, oggi chiamata “Wine, fregula e cassola”, che si tiene ogni anno a inizio autunno. E già nel nome di quest’ultima si coglie l’intenzione che ha animato anche il festival: inglese e sardo, locale e internazionale.
Prendiamo il pomeriggio inaugurale: il luogo era “Casa Cultura”, un palazzo appena ristrutturato e convertito in punto d’incontro e biblioteca, con una sezione per ragazzi, uno spazio di co-working e la corte interna che ospitava una parte degli incontri del Licanìas. Qui, dopo i discorsi d’apertura, Culicchia ha conversato con Giovanni Bianconi, giornalista d’inchiesta autore del recente Un pessimo affare (Solferino), che ricostruisce quello che (non) sappiamo del delitto Borsellino. Non era un inizio esattamente festaiolo sentir parlare della nostra repubblica “fondata sulle stragi” o di come all’epoca la mafia odorasse tanto di “braccio armato di qualche altra cosa”. La sera, però, dopo una cena popolare offerta agli ospiti nel ristorante del paese, il medesimo spazio ha ospitato una conferenza in sardo su Melchiorre Murenu, poeta ottocentesco di Macomer (lo stesso centro da cui proveniva la libreria “Verbavoglio”, che gestiva il banchetto con titoli a tema) e a seguire un duello di “poesia a bolu”: dove i poetas Giuseppe Porcu e Diego Porcu, accompagnati dal Tenore S’Angelu di Neoneli, si sono sfidati in un dissing ante litteram fin dopo mezzanotte.
È solo un esempio, ma rende l’idea di cosa sia stato proposto ai cittadini di Neoneli e dei comuni limitrofi durante i quattro giorni di festival. E di ciò che è stato offerto a noi ospiti, sistemati in diversi alloggi del territorio circostante, come assaggio di una terra che ha voglia di crescere: di non essere soltanto quello che è sempre stata, ma di valorizzare le proprie qualità e i propri luoghi attraverso una partecipazione consapevole al presente. A questo pensavo, mentre l’ultimo giorno un autista mi riportava a Cagliari con Ingo Schulze, l’autore tedesco che ho affiancato davanti al pubblico di Neoneli. E pensavo ai giovani volontari coordinati da Marzia e Paolo senza i quali il festival non avrebbe potuto nemmeno iniziare, e a come esso stesso parli loro nella lingua della possibilità, scongiurando le scelte che hanno visto molti loro coetanei allontanarsi e quelle zone spopolarsi. E all’assessore alla cultura Ivano Piras, all’idealismo con cui a tavola mi ha spiegato come l’obiettivo di base e per nulla utilitaristico del festival sia di “elevare culturalmente” la comunità locale.
E pensavo che anche a Rovereto, dopotutto, in questi giorni si sta svolgendo qualcosa del genere. È iniziata ieri infatti la nuova edizione di Osvaldo, che per quasi una settimana animerà i luoghi del quartiere di Santa Maria in modi e con intenti non troppo diversi a quelli del Licanìas. Chissà, magari si potrebbe pensare a un gemellaggio: dovesse piacere l’idea, mi candiderò come ambasciatore. E stavolta non dimenticherò di assaggiare il vino locale, che si annunciava tanto fiero all’ingresso del paese, perché in fin dei conti ho mancato solo quello. Per tutto il resto, le pagine social del Licanìas documentano ampiamente ciò che ognuno in quei giorni, lassù nel verde Barigadu, ha potuto apprezzare.