Il mondo della cultura piange Umberto Gandini, pioniere della mediazione letteraria nell'Alto Adige dei conflitti inter-etnici


di Stefano Zangrando, docente, traduttore e autore
Ci ha lasciati in questi giorni Umberto Gandini, giornalista, scrittore e traduttore di origini milanesi ma altoatesino d’adozione, per decenni figura di spicco della cultura regionale. Il quotidiano Alto Adige lo ha ricordato soprattutto in quanto "firma indimenticabile" della testata, mettendone in evidenza le doti di osservatore, interprete e cronista della realtà storica e culturale della provincia. Ancor prima dei ricordi partecipi dei colleghi Alberto Faustini e Fabio Zamboni apparsi nell’edizione cartacea del 20 marzo, in un articolo on line non firmato il quotidiano lo ha ritratto con affetto e ammirazione inequivoci: "Nel dubbio fra parteggiare per gli italiani o per i 'tedeschi', scelse sempre la strada dell’equilibrio e del buon senso, estremista soltanto nel suo essere antifascista. [...] Gandini scriveva senza peli sui polpastrelli, fossero lì a vorticare sui tasti della macchina per scrivere o più tardi, da metà anni ottanta, su quelli del computer. In redazione era un punto di riferimento, non solo per la perfetta bilinguità ma anche per la rapidità e la puntualità delle sue analisi politiche. Rigore ma sempre con un pizzico d’ironia: restano negli annali gli irriverenti festeggiamenti del Venerdì santo a base di pane e salame".
Se ne ricorda poi il lavoro di critico teatrale, come anche – ed è l’aspetto che qui voglio ricordare in modo particolare – il suo lavoro di traduttore letterario dal tedesco in una terra di frontiera che, prima di lui, viveva più di conflitti e di separazione che di mediazioni, anche a livello culturale. Per questo Gandini è una figura fondamentale per la cultura dell’Alto Adige e dell’intera euroregione, il cui esempio resta inaggirabile per chi opera fra i mondi linguistici e i campi culturali sul territorio. Dell’entità del suo lavoro di traduttore ci si può rendere conto anche solo consultando la pagina di Wikipedia a lui dedicata. Si noterà presto come, tra i titoli portati in italiano, tra i quali molti grandi autori del canone tedesco (tra cui Kafka, Bernhard, Dürrenmatt e Handke), compaiano negli anni ottanta due romanzi di Joseph Zoderer: fu proprio la traduzione de L’italiana per Mondadori nel 1985 (l’originale Die Walsche era uscito tre anni prima) a inaugurare la diffusione e la conoscenza della letteratura sudtirolese in Italia – o meglio, di una letteratura di matrice pur territoriale, ma capace di affrancarsi dalle pastoie del regionalismo idillico e guardare oltre i propri confini, di farsi Weltliteratur.
E tra un narratore o un drammaturgo e l’altro, negli anni novanta Gandini trovò anche il tempo di tradurre per la casa editrice bolzanina Praxis 3 il voluminoso In lotta contro Roma: cittadini, minoranze e autonomie in Italia dello storico Claus Gatterer, una lettura importante per chi voglia capire bene il Sudtirolo e la sua storia da una prospettiva allargata, decantata dall’ombelicalità che di norma ne fiacca i cantori. Premi di grande prestigio come l’“Ervino Pocar” o il “Grinzane Cavour”, conferitigli al giro di millennio, non fecero che confermare la qualità del suo operato. Ma neanche allora, ormai in età pensionabile, Gandini si fermò, neppure nella promozione della miglior letteratura tedesca di origine sudtirolese: nel 2010 fu il primo a portare in italiano un romanzo della meranese Sabrine Gruber (Vita in anagramma, Gaffi), e in quegli stessi anni si tolse pure la soddisfazione di uscire allo scoperto con un paio di libri propri (Le indagini abusive di Marlòve, investigatore precario, nel 2009, e Come rubare un missile Cruise e vivere felici, nel 2011, entrambi editi da Robin), coi quali manifestò una divertita predilezione per la letteratura di genere.
Qualche anno più tardi, dopo aver coronato la sua carriera di traduttore curando il tascabile de Le affinità elettive di Goethe per Feltrinelli, intervenne a un laboratorio di traduzione letteraria che con altre colleghe e colleghi e all’editore Aldo Mazza avevamo organizzato a Bolzano, nei locali della cooperativa alpha beta. Quel giorno Gandini parlò a una dozzina di allievi di ogni età del suo lavoro di traduttore letterario, della bellezza e delle difficoltà del mestiere, e raccontò della sua vita e della sua “vocazione”, e lo fece con umorismo e modestia, addirittura con umiltà – la qualità che, di solito, accompagna la vera grandezza.
Mi piace ricordarlo così, da maestro capace di coniugare saggezza e riso, come fu immortalato in una foto scattata quel giorno, la stessa che accompagna questo articolo. Grazie Umberto, il tuo lascito è vivo e prezioso.