
di Stefano Zangrando, docente, traduttore e autore
C’è un maso che divorano le fiamme, a fine giugno 1978, fuori Brunico. Apparteneva alla famiglia del padre naturale di norbert c. kaser, il poeta che ha inaugurato la moderna letteratura sudtirolese. Ma in passato era appartenuto alla famiglia materna, che aveva dovuto svenderlo per debiti, e pare che gli acquirenti se ne fossero approfittati. Comunque “norbert” non era nato lì, ma presso le suore di Santa Elisabetta, dove la madre Paula aveva trovato accoglienza; il cognome, “kaser”, è quello dell’uomo che lo adotterà; le minuscole iniziali, una scelta d’autore.
Si apre con questo incendio e le sue rifrazioni familiari Il mite caprone rosso (ed. alpha beta, 540 pp., 22 euro), la biografia di norbert c. kaser scritta dal bolzanino d’origine e veneto d’adozione Roberto Masiero, classe 1952, e presentata venerdì scorso alla libreria Arcadia di Rovereto. È la biografia corposa di una vita breve, giacché kaser morì a soli 31 anni in quella stessa estate del ’78, prostrato dall’alcolismo, ma Masiero quei suoi tre decenni li ha esplorati, narrati e documentati con l’acribia di un’autentica passione. Ed è un libro importante perché è il primo lavoro in lingua italiana su un autore di confine che dovrebbe essere patrimonio di ognuna delle aree linguistiche a cavallo delle Alpi centro-orientali, ma che fino a pochi anni fa era letto e studiato quasi solo in quella tedesca.
A rompere il silenzio, proseguito con poche eccezioni per decenni, era stata nel 2016, sempre per alpha beta, l’antologia kaseriana Rancore mi cresce nel ventre, curata dal compianto Werner Menapace, traduttore e musicista altoatesino che ci ha lasciati nel dicembre scorso. Solo pochi anni prima lo stesso Masiero aveva pubblicato il suo primo confronto narrativo con la questione interetnica dell’Alto Adige-Südtirol nel romanzo La strana distanza dei nostri abbracci (Meligrana 2013), quasi un pre-approdo alla materia che adesso, dopo un ammirevole sforzo di indagine, ricerca, collazione e messa in opera, ha trovato casa presso lo stesso editore meranese che da ormai due decenni vanta un ruolo di ponte tra le due maggiori culture regionali.
A dar retta all’autore, il primo impulso a un simile cimento fu un’aneddoto riferito da Alexander Langer, secondo il quale il giovane kaser, in un giorno di neve e strade scivolose, aveva fatto l’autostop ed era stato raccolto da un uomo in Mercedes. Quando questi però gli aveva detto che lo aveva fatto salire solo perché quel giorno aveva dimenticato di appesantire l’auto con i sacchi di sabbia, il ragazzo norbert pretese all’istante che si fermasse e lo facesse scendere: «Non mi va di farle da sacco di sabbia». Comunque l’episodio possa avere colpito il futuro biografo, di certo è un indizio di quella che nel libro viene definita la «protestata autosufficienza» di kaser, un tratto di personalità molto più univoco e coerente del suo più spesso ricordato istinto ribelle e anti-autoritario.
Famoso per la sua Brixner Rede, il discorso tenuto in un congresso di scrittori a Bressanone nel 1969 nel quale demolì la produzione tradizionalista, nostalgica e strapaesana della sua terra d’origine e annunciò l’avvento di una letteratura nuova per il Sudtirolo, kaser è un personaggio pieno di contraddizioni e saporiti paradossi: maturatosi solo al terzo tentativo, fu però cooptato ancora senza diploma per insegnare in una scuola media di Lasa; allora e in seguito, in altre esperienze di insegnamento, manifestò il proprio lato più umano e creativo, ma anche la fermezza dell’educatore che, memore delle proprie intemperanze di studente, non si peritava di disciplinare a dovere i propri allievi; religioso nell’intimo, imboccò per qualche mese la strada del noviziato, salvo poi rinunciarvi e rimanere sempre un critico aspro della Chiesa; comunista insofferente nei confronti dell’ordine costituito, quando si ritrovò in Norvegia si rivelò capace di un lamento da esiliato degno del patriottismo più conservatore; capace di innamorarsi e disamorarsi di più donne, seppe riconoscersi un’inclinazione omosessuale; affettuoso nell’amicizia, patì sempre una grande solitudine – e così via. Masiero segue e ricostruisce tutto questo, dall’infanzia in avanti, riportando una gran mole di testi originali, soprattutto poesie e lettere, seguendolo nelle sue tappe di poeta mai del tutto riconosciuto, sempre un po’ clandestino, aduso a forme ancora analogiche di self publishing. E lo fa inserendo questa ricostruzione in una cornice parzialmente d’invenzione, mostrandocelo cioè nel pomeriggio di quel 28 giugno 1978, per le strade e nei locali di Brunico, tra passeggiate e soste davanti a un bicchiere, dove basta un pretesto – metti una tartina con burro e salmone – per evocare un ricordo e riaprire al vissuto.
Tra i personaggi che compaiono così accanto al poeta, e che Masiero ha in parte incontrato, troviamo personalità dell’arte e della letteratura sudtirolese degli ultimi decenni, come Joseph Zoderer o Markus Vallazza, ma sia nel caso loro come per lo stesso kaser una cautela è, più che d’uopo, doverosa: guardiamoci dal farne vacche sacre, ossia quello stesso tipo di figure autorevoli contro le quali kaser si scagliava. Vale anche per noi pubblico italiano: avevamo già Zoderer da un po’, da qualche anno possiamo leggere anche kaser (come pure Sepp Mall, Kurt Lanthaler, Sabine Gruber o Anna Rottensteiner), e adesso di quel poeta-iniziatore morto troppo giovane ci è offerta una generosa biografia. Ma tutti loro prendiamoli per quello che sono: voci di una letteratura che guardava e guarda alla fine delle divisioni linguistiche ed etniche – per non parlare delle ansie patriottiche. kaser voleva mettere allo spiedo l’aquila tirolese, leggeva Musil e Brecht, traduceva Leopardi e Fortini, visse a Vienna e amava Venezia. Sbaglieremmo a fargli un monumento: leggiamolo, sarà già tutto.