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''Il diavolo d'estate'': il nuovo libro del direttore della scuola di scrittura ''Le scimmie'' di Bolzano

La scuola diretta da Giovanni Accardo presso l'Upad ha visto passare, in questi anni, tutti o quasi i migliori autori e autrici del nostro Paese. Ora esce il suo nuovo racconto, un romanzo con elementi di giallo, sociale e d'iniziazione
DAL BLOG
Di Il Lanternino - 02 agosto 2019

di Stefano Zangrando, docente, traduttore e autore

Giovanni Accardo è un siciliano che vive da molto tempo a Bolzano, dove non è solo insegnante di lettere in un liceo, ma da anni conduce la scuola di scrittura “Le scimmie” presso l’UPAD. Comunque la si pensi sulle scuole di scrittura – io penso ad esempio che la sua funzione migliore sia quella di insegnare ai discenti a dare una forma ordinata alle proprie esperienze e fantasie, quella peggiore di produrre scrittori standardizzati i cui testi andranno inutilmente a ingombrare gli scaffali delle librerie – la scuola diretta da Accardo a Bolzano ha visto avvicendarsi in questi anni tutti o quasi i migliori autori e autrici del nostro paese. (Non mi pare che esista nulla del genere in Trentino, dove prevalgono, anche in qualità, altre formazioni artistiche per ragazzi e adulti).

 

Accardo è anche scrittore e finora ha pubblicato tre libri. Il primo, nel 2006, fu Un anno di corsa, un romanzo tragicomico sul precariato apparso nella collana dell’editore Sironi allora diretta da Giulio Mozzi (ecco un autore, editor e talent scout che in passato ha tenuto anche in Trentino corsi di scrittura: per studenti, organizzati da Iprase). Quasi dieci anni dopo è apparso il diario semi-autobiografico Un’altra scuola (Ediesse 2015), in cui Accardo riversava il suo amore per l’insegnamento in pagine critiche verso il mondo scolastico più retrivo e parassita, quello che nutre i cliché, contrapponendovi un’alternativa entusiasta e resistente nell’abbordare il mestiere e, da parte dei ragazzi, lo studio.

 

Me lo immagino, Accardo, in quei dieci anni di intervallo tra una pubblicazione e l’altra, assorbire dagli scrittori e dalle scrittrici che intervenivano a “Le scimmie” il meglio che potessero dare a lui e ai suoi studenti, e intanto lavorare al romanzo successivo... Che è arrivato quest’anno dopo una lunga gestazione: s’intitola Il diavolo d’estate, è la prima uscita di una nuova collana dell’editore vicentino Ronzani, ha elementi da giallo ma è essenzialmente un romanzo sociale e d’iniziazione. È ambientato in una Sicilia sospesa fra tradizioni, pensiero arcaico, superstizione da un lato e modernizzazione dall’altro, con i suoi clientelismi e l’emigrazione che allontana da casa molti uomini, tra cui il padre del protagonista, morto in una miniera del Belgio.

 

Totò è un ragazzo timido, di neppure diciott’anni, s’interessa di politica, frequenta i comunisti locali, e vive molto di paure e aspirazioni: tra le prime, il “diavolo” del titolo, che è una minaccia fortemente simbolica e sempre presente, ora pronta a declinarsi in canicola – è l’estate caldissima del 1978, a un paio di mesi dal ritrovamento del cadavere di Moro – o in vere fiamme – come nell’incendio dopo il quale viene ritrovato, nelle prime pagine, il cadavere carbonizzato dell’amico Ignazio –, ora in senso di possessione interiore, incubo mistico pronto a declinarsi in passione erotica, com’è il caso di Angela, la donna adulta che accoglie Totò nella sua casa buia e lo inizia al piacere della carne.

 

La trama ruota attorno al mistero della morte di Ignazio, che con Totò e altri amici aveva voluto organizzare una specie di discoteca presso la villa abbandonata di un nobile per “cambiare qualcosa”, muovere il paesino fuori dalle sue ataviche immobilità, ma il baricentro esistenziale del romanzo – che Accardo conduce con una lingua pulita, levigata, con innesti dialettali che danno pregnanza anche culturale all’ambientazione – è proprio nell’iniziazione di Totò alla vita adulta nel giro di un’estate, e in quella che si potrebbe chiamare la sua purezza, o ingenuità, che sembra travasarsi direttamente da un mal celato candore dell’autore, come un sigillo di umanità a contrappeso dell’implacabile calibratura dell’intreccio.

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