Dallo jodle a TikTok: la cabinovia sale nel mondo che scende


Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Un’opera fatta e finita su un mondo alpino sfatto dal businnes turistico: un mondo ambientalmente finito. Un’opera da catalogo “classico” che il classico così come generalmente è conosciuto lo scompiglia. E non poco. Sì, perché chi domenica andrà a teatro per una prima ad alto tasso di intrigo e curiosità s’imbatterà nell’inconsueto.
L’inconsueto della fine del mondo vista da dentro una cabinovia. Ma anche e soprattutto l’irrituale di un intreccio di ritmi che pescano dentro le colonne sonore mignon di TikTok o divagano nel pop, inciampano nello jodel che più montanaro non si può ma non disdegnano puntate nella musica più nota e di successo. Di più, indubbiamente un valore aggiunto, va considerata la scarsa attitudine di musicisti e cantanti in questione alla ripetizione.
L’opera inedita, debuttante a Trento e di seguito a Bolzano, si candida infatti ad essere un unicum in ognuna delle piazze che ospiteranno il suo tour dopo domenica 21 gennaio. In un dosaggio certamente ben calibrato tra rigore ed improvvisazione si assicura che non ci sarà mai un’esibizione uguale all’altra. Lo assicura Marius Binder, l’ideatore dell’opera: “Voglio che suoni in modo diverso ogni volta che viene eseguita e desidero che i musicisti si divertano a eseguirla. Non sono macchine, quindi perché dovrebbero essere trattati come se lo fossero?

Nessun già visto e, insieme, la possibilità di vedere e rivedere il lavoro scoprendo ogni volta qualche trasformazione. Con queste premesse Lorit, sottotitolo “un’opera sulla fine dei tempi” si propone al pubblico trentino e altoatesino con i crismi della “chicca”. Certo, domenica 21 al Sanbapolis di Trento (alle 17) e due giorni dopo al Comunale di Bolzano toccherà al pubblico stabilire se la curiosità suscitata dalle caratteristiche ancora sulla carta di Lorit è meritata. Qui si crede di sì per via della qualità produttiva ampiamente dimostrata dalla Fondazione Haydn. E si crede di sì perché Marius Binder, il compositore austriaco che ha firmato Lorit, pare personaggio dalle idee artistiche certamente chiare quando – così come in questo caso – scrive partiture da affidare ai talenti giovani.
Lorit andrà in scena da vincitrice del concorso musicale Fringe, la manifestazione con il quale la Fondazione Haydn vuole dare gambe ai sogni creativi del teatro musicale che bazzica di idee ed energie il territorio di Trentino, Alto Adige e Land Tirolo. La scelta che nell’ultimo bando a premiato Lorit va accreditata di una importante valenza sociale. L’opera, sì. La musica e il canto, la scena, sì. Ma stavolta ad intrigare, e non poco, è il messaggio. LORIT affronta infatti temi di portata globale come i sistemi economici e politici, il turismo con i suoi lati oscuri, le catastrofi naturali, i cambiamenti climatici, le crisi, la morte. “In modo molto intuitivo - sottolinea la regista Christina Polzer - abbiamo deciso di lavorare con delle figure metaforiche per creare, una sorta di dramma filosofico sulla condizione umana”.

La storia mette in scena l’incontro di cinque personaggi allegorici, la Morte interpretata dal Bernhard Wolf, il Turismo che prende la voce e il volto di Manuel Ried, il Padrino della funivia interpretato da Jubin Hossein Amiri, il Bel Paesaggio con Laura Schneiderhan e l’Ultima Generazione con Milena Pumberg. Il luogo in cui i loro destini si intrecciano è una piccola cabinovia nell’ultimo giorno dell’ultimissima stagione sciistica dell’umanità. Tutto sta volgendo al termine e folle di persone si contendono gli ultimi posti disponibili. “In vario modo questi caratteri - prosegue Polzer - rappresentano il nostro spazio vitale, il nostro globo, una generazione giovane e una resistenza di sinistra che si è abituata a vivere nella propria zona di comfort, una politica che è diventata fine a sé stessa e, infine, tutti noi e ciò che ci aspetta in un futuro non così lontano”.
Chi siederà nelle comode poltrone bianche del teatro universitario a Trento Sud dovrà attrezzarsi ad una certa inquietudine (con l’ambiente siamo messi mali e con la politica che dovrebbe salvare il salvabile siamo messi peggio) ma anche all’incontro con una forma d’arte dove gli stimoli abbondano ed il coinvolgimento pare garantito. Certo l’incontro con Lorit non permetterà troppo ottimismo di fronte ad una società che si sta dissolvendo e una moltitudine che, lasciata sola, è costretta a riorientarsi e a ricominciare tutto da capo. Cosa accadrebbe se d’un tratto l’industria del turismo, con i suoi rituali sempre più portati all’eccesso, scomparisse da valli e paesi? Resuscitasse Battisti canterebbe “tu chiamala se vuoi, provocazione”.
Più che una provocazione musical/social/politica l’opera Lorit richiama un’urgenza, un rinsavimento di fronte ad uno sfruttamento intensivo dell’ambiente che allo stesso tempo snatura e distrugge. Snatura la natura e snatura, di più, un uomo (e donna, e bambino) che vestito da paolombaro formato d'alta quota è tutto meno che sapiens.
Lorit farà la sua denuncia artistica con il suono, il canto, la scena e può perfino essere che faccia breccia laddove cozzano contro gli aperitivi d'altura, dentro rifugi stellati nel vetro cemento, tutti i discorsi di allarme che si perdono nel vento alpino molto più velocemente del blowing in the wind dylaniano.
Ma l’urgenza non è solo quella dell’ambiente che declina inesorabilmente in nome del guadagno e della neve sempre più chimica. L’urgenza che Lorit sottoporrà al pubblico è quella dell’identità (nella fattispecie quella tirolese) alpina che s’è smarrita, perduta, tradita, eccetera. Perdere l’identità – spiegherà Lorit senza tuttavia smarrirsi in pistolotti e filippiche ma solo raccontando per immagini la “religione apres sky” – è perdere sé stessi. E non va. Si rischia, rapidamente, il non ritorno.