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Buco da oltre 2 milioni per la Music Arena, evidente il flop ma oltre a criticare che "così non si fa cultura" quali idee ci sono per rilanciare l'area?

DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 19 agosto 2024

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

Ci sono quelli che ci mettono solo gli spiccioli. Eppure pontificano. "La Music Arena? Così non si fa cultura": parola dell’assessora vice sindaca di Trento. Un legittimo giudizio senza pregnanza alcuna. Spiegasse lei come si fa (o come farebbe) a trasformare l’area San Vincenzo in una fucina di cultura social-musicale. Serve poco l’abbozzo di un ennesimo ragionamento sbrigativo. Improduttivo.

 

Spieghino quel che farebbero loro, inoltre, anche i “giustamente censori” che dall’opposizione bacchettano la Provincia. Quelli che hanno attaccato e attaccano Fugatti, il presidente che ha speso, spende e sparge altre promesse di magnificenza per l’area San Vincenzo. Ci sta (anzi ci deve stare) la filippica sui “soldi buttati”: qui, sul Dolomiti, non ci siamo mai tirati indietro. Ma se criticare, denunciare, è un obbligo lo è altrettanto lo sforzo di fare qualche proposta.

 

Se a ogni accusa di pasticcio a Fugatti dovessero fischiare le orecchie sarebbe ricoverato in otorinolaringoiatria con un’otite da urlo (di dolore). Pare, invece, che l’orecchio del presidente sia più che altro sordo alle accuse, indenne e sanissimo. Inscalfibile pare la sua convinzione caparbia che quel si è fatto fino a ora per la Music Arena è nulla rispetto a quello che si potrà fare in futuro. Su quel che si è fatto (improvvisando male) parlerà (forse, chissà quando) chi deve tenere sotto controllo la spesa pubblica, l’erario.

 

Su quel che si potrà fare, sul se e come cambiare registro, sarà bene però aprire un confronto serio. Un confronto al quale i “giustamente critici” non possono sottrarsi. Insomma, dovendo levarsi dalla testa l’idea che sulla Music Arena la Provincia operi autocritiche e marce indietro, forse è l’ora di sfidare l’ente pubblico a “fare” sì, ma “fare bene”.

 

I fatti sono noti. La Provincia ha sborsato montagne di pubblico denaro, investendo nel presappochismo di un sogno che fin dall’inizio lasciava intuire le caratteristiche dell’incubo. Oggi, di fronte ai conti della Music Arena che piangono perdite già ingenti (a carico del Centro Santa Chiara e cioè della stessa Provincia) c’è davvero poco da minimizzare sul più che preventivabile insuccesso numerico e dunque finanziario. Tergiversare: ecco, più che una parola d’ordine è una via di fuga. Ma non sarà praticabile all’infinito.

 

Eh sì, come ampiamente previsto il giorno dopo la sbornia di Vasco (era maggio 2022), l’area San Vincenzo rischia di essere per chissà quanto ancora un inno al “vorrei ma non so come”: testo e musica di una Provincia davvero troppo autonoma nell’incaponirsi sull’improvvisazione. Ma attenzione che un conto sono i pasticci e un altro conto sono le intenzioni. Occorre distinguere tra l’ambizione condivisibile di dotare il Trentino di un luogo adatto a concerti per numeri medio alti (scelta oggettivamente anche culturale) e il modo pressappochista e un po’ arrogante di forzare la mano per raggiungere l’obiettivo.

 

Non serviva il cappello da indovino per considerare il mantra di un’area per lo spettacolo di portata nazionale (e perfino internazionale) come l’anticamera di un tonfo. Di Vasco ce n’è uno solo (con centomila al seguito). Ma se Vasco arrivò a Trento in un concerto che per costi e annessi ha disconnesso dalla realtà ogni regola del mercato (musicale) quell’unicum ammazza bilancio non autorizzava a vagheggiare di meravigliose sorti progressive per l’Arena. Ripetere con altri big musicali l’operazione Vasco – (interamente a carico della Provincia) – avrebbe fatto scattare sull’attenti anche il più pigro dei magistrati che si occupano di erario.

 

Dunque era d’obbligo cambiare almeno qualcosa. E in Provincia ci hanno provato. Ma con risultati che sarebbero stati perfino comici se non fossero stati ulteriormente preoccupanti. Ci si riferisce all’estate del 2023, quella del “Love Fest” : un palco affollato di mezze tacche con l’aggravante di un foglia di fico trasparente e subito caduta con tutte le miserie in mostra. La foglia di fico della beneficenza (farlocca, offensiva, a centesimi) per gli alluvionati.

 

Chi organizzando concerti “veri” rischia in proprio stette subito alla larga dalla Music Arena. Spiegazione? È gente che sa far di conto. Ma la Provincia voleva fare perché ogni promessa è debito (tanto il debito lo paga il contribuente). E si fece. Si trovò una soluzione rabberciata non tanto negli allestimenti quanto nei contenuti perché un conto è allestire feste della birra ed un altro conto è pescare i nomi giusti in un mercato musicale sempre più complesso e mutevole.

 

Insomma, la Music Arena sarà anche a fianco di un aeroporto ma ancora non decolla nonostante gli sforzi improbi del Centro Santa Chiara, il braccio culturale della Provincia. Il Santa Chiara fu inspiegabilmente escluso ai tempi di Vasco ma adesso è diventato (viste le male parate) il titolare di una croce o, a scelta, di un’obbligatoria “mission impossible”: far quadrare contenuti e conti, dare una prospettiva credibile e soprattutto condivisibile alla Music Arena.

 

Le cronache di oggi, la perdita milionaria ipotizzata nel bilancio di mezzo dell’ente (che non è il definitivo perché al programma estivo della Music Arena mancano appuntamenti sia in agosto che in settembre) dicono che butta male. I miracoli forse esistono ma è difficile che nonostante certi travestimenti pseudo religiosi li possa compiere Achille Lauro (uno dei prossimi “big” ospitati). E miracoli non faranno nemmeno i redivivi Europe, reduci della Hit Parade del 1982 (The eye of the tiger) che a settembre dovrebbero dare alla Music Arena quel marchio di internazionalità su cui Fugatti ha giurato (e un po' spergiurato).

 

Non ci si scappa più: è urgente ragionare a voce alta su quel che alla Music Arena si può ma soprattutto si quel che non si può fare. Ebbene, non si possono fare passi più lunghi della gamba. Non si può non tenere conto del bacino d’utenza del Trentino. Che è piccolo, imparagonabile all’attrattività della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia Romagna, tanto per restare vicini.

 

Si prenda ad esempio Reggio Emilia e l’operazione Campo Volo: arena vera e modulabile nella capienza, virtuosa collaborazione economica tra pubblico e privato che si assume onori ed oneri della gestione.

 

Ma più di ogni altra cosa un bacino potenziale di pubblico di sette milioni di persone e non di 400/500 mila come in Trentino. Morale? Campo Volo può fare concorrenza a mezza e più Italia in termini di attrattività dei grandi nomi. La Music Arena non può fare concorrenza nemmeno all’Arena di Verona (con i suoi 20 mila posti di storia e di fascino).

 

La logistica, così come la raggiungibilità “comoda” di uno spazio per lo spettacolo dal vivo, è un fatto dirimente. Ma non è l’unico. È sulle scelte che la partita diventa giocabile o, al contrario, improponibile.

 

Nelle scelte fin qui viste alla Music Arena non si è ancora capito quale sia il progetto, quali i target di pubblico che si vogliono coinvolgere, in che misura e con quale continuità. Al Centro Santa Chiara – è chiaro – occorre concedere il tempo di entrare in un meccanismo di mercato nel quale i rischi sono all’ordine del giorno. Il mercato dei grandi nomi impone programmazioni pluriennali (se vuoi un Mengoni nel 2025 lo opzioni tre anni prima) ma ancor di più impone di attrezzarsi alla concorrenza solida delle altre piazze del centro nord. Avere un grande nome in Trentino può essere un boomerang se non ci si assicura un’esclusiva geografica (niente piazze a poche centinaia di chilometri) ma l’esclusiva geografica ha un costo (alto, altissimo).

 

Si può, così come si è tentato con esiti purtroppo dubbi, azzardare una scelta di generazione. Il rap, la trap con tutte le contraddizioni del caso è la musica degli adolescenti. La musica dei “social” che per i ragazzi più giovani è un indubitabile fenomeno sociale, aggregativo (e volenti o nolenti anche culturale). Portarla in massa alla Music Arena, così come è fin qui successo, comporta però altri problemi. Un intreccio di problemi. La capacità di spesa degli adolescenti (delle loro famiglie) è un tema importante. L’idea di proporre la formula dei festival con musica da pomeriggio a notte in un posto dove non c’è un filo d’erba, un albero, dell’ombra crea un contesto logistico totalmente inadatto: faticoso, respingente. E, di più, non esiste alcun meccanismo automatico nella fruizione di quei generi: milioni di visualizzazioni su Spotify e You Tube spesso si traducono in poche centinaia di biglietti venduti.

 

Quanto alla logistica, poi, gli sforzi del Centro Santa Chiara di limitare la capienza della Music Arena e dotarla di tribune per i concerti proposti a generazioni diverse (Pooh, Mannoia e più avanti Tozzi ed Europe) dà un’impronta e una parvenza ma ancora non caratterizza il posto per funzionalità, distanze, impatto, attrattività.

 

C’è da lavorarci, e tanto. Così come c’è da lavorare sul senso di un luogo per la musica (e lo spettacolo) in Trentino. Se davvero la Provincia vuole investire senza strafare (e farci strapagare la grandeur) potrebbe immaginare di investire finalmente su una struttura utilizzabile tutto l’anno (chiusa in inverno e aperta l’estate) così come ne esistono altrove grazie a tecnologie e architetture d’avanguardia. Un’arena/teatro dalla capienza limitata a qualche migliaio di posti modulabili (diciamo da 1000 a 7/8 mila al massimo?) che garantisca gestioni appetibili, che non siano destinate a impiccarsi ai costi enormi degli allestimenti di volta in volta o delle spese per la sicurezza calcolate per legge su spazi dieci volte più grandi di quelli che si utilizzano (sono queste alcune le voci che stanno ammazzando il bilancio del Centro Santa Chiara).

 

In definitiva, non c’è nessuna critica alla Provincia da ritrattare ma nemmeno si può sempre fare i grilli parlanti, o interroganti, o denuncianti. La Music Arena è partita male ma c’è. E probabilmente resterà. Farsene una ragione non significa dar ragione a Fugatti ma, al contrario, sfidare Fugatti a non ragionare più da solo. Chissà, forse è la volta che si farà “perfino” aiutare. A non sbagliare.

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