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Quando le donne non si chiamano per nome, ma per quello dato al loro fucile, l'incredibile testimonianza di Gulistan, land of roses al Trento Film Festival

Non solo la pellicola che ha ricevuto il Premio speciale della Giuria, anche il documentario 'The Botanist' (premiato Genziana d'argento) è riuscito a stupire per i dettagli, la citazione e la storia narrata
Gulistan, land of roses
DAL BLOG
Di Alda Baglioni - 07 maggio 2017

Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore

Diversi, in tutto, per ambientazione e vicende, abbinati solo dalla nazionalità dei registi, entrambi canadesi.

 

A partire dal Premio Genziana d’argento come miglior documentario a 'The Botanist' di Maxime Lacoste-Lebuis e Maude Plante-Husaruk, ed il Premio speciale della Giuria: 'Gulistan, land of roses' di Zayne Akyol.

 

Il documentario è rigoroso, ricco di dettagli su oggetti e di citazioni del protagonista, un botanico del Tagikistan che dopo il crollo dell’Unione Sovietica, abbandona il suo paese natio e si trasferisce con la famiglia nel Pamir, tra desolate quanto sperdute montagne, quote attorno ai 3.000, nel cuore dell’Asia Centrale.

 

Lui sa tutto sulle piante, le cataloga con certosina pazienza, annotando ogni variazione, cercando d’insegnare ai giovani la cultura del rispetto vegetale. Il film è diviso in tre parti: radici, perché queste danno energia. Gli steli, che l’energia devono catturarla, anche se per avere una fonte energetica il botanico s’ingegna a costruirsi una micro centrale idroelettrica. Poi il capitolo ‘Fiori’: non puoi conoscere la mente di qualcuno guardando solo la fronte, parola di botanico. Fotografia nitida, coinvolgente, supportata da una colonna sonora altrettanto rigorosa, che crea aspettative, la sensazione di essere come sospesi nello spazio.

 

Anche il film 'Gulistan, land of roses', ha una colonna sonora intensa e coinvolgente, ritmata alle scelte di vita delle donne protagoniste, guerrigliere curde del PKK, in marcia e nei campi d’addestramento, sospese tra la vita e la morte. La regista  Zaynè Akyol, di origini curde, è nata in Turchia, e cresciuta in Quebec, ma non ha mai dimenticato le sue radici orientali, impegnandosi in produzioni cinematografiche di denuncia e controinformazione.

 

Lo è anche il suo film presentato al Trento Film Festival, scaturito da una serie di testimonianze e ricordi vissuti dalla regista con una sua cara amica curda, Gulistan, che ha lasciato il Canada (dove aveva trovato rifugio politico) per tornare in Kurdistan, perdendo la vita in un combattimento.

 

Il film – giustamente premiato dalla Giuria del Festival - dimostra le capacità della regista di documentare, senza interferire, con piani sequenza e panoramiche che si susseguono a primi piani delle guerrigliere del PKK, riprese in prima persona, in clandestinità sulle alture del Kurdistan.

 

Documentazione straordinaria, sempre con la forza della scelta di queste guerrigliere, donne che non cancellano la loro femminilità, si pettinano e s’intrecciano i capelli fra di loro, mangiano assieme parlando di guerra di armi.

 

Tra loro non si chiamano per nome, ma solo per quello dato al loro fucile, come impone la regola della militanza.

 

Scene di vita, spostamenti, ispezioni di trincee, l’incubo dell’ Isis in una imprecisa lontananza. Tante le riunioni dove le guerrigliere condividono con gli uomini le strategie di azione. Ma cosa vuol dire essere donna in quelle terre? Cos’è la libertà? Cosa vuol dire avere vent’anni e lasciare la propria famiglia per combattere?

 

Si piange quando si pensa agli affetti più cari. Ma non si torna indietro. Le donne coltivano i campi e si scambiano sorrisi nel dramma di una guerra infinita. Per giungere al culmine dell’attesa, alla vigilia dello scontro, quando si va davvero in guerra.

 

Zajne, la protagonista, intervistata più volte – ricordatevi di noi che lottiamo per la democrazia -  apre e chiude il documentario e  nell’ultimo piano sequenza (vedendo il film vi rimarrà davvero nel cuore) si prepara per andare verso la morte. Ma non per questo Zajne tralascia di lavarsi i capelli, ostentando la sua determinazione e grazia femminile, in silenzio, mentre chiude la porta dietro di se. Immagini toccanti, frutto di una regia in ‘presa diretta’ decisamente autorevole quanto altamente professionale.

 

Un premio per un film che dovrebbe essere proiettato nei circuiti più capillari, anzitutto nelle scuole e non solo nelle sale di rassegna festivaliere seppur importanti

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